02/12/2023

don Franco Mazzon

Testo: Passione secondo Marco

Si fece buio su tutta la terra. Buio, come ogni volta che un nostro caro, nel nostro caro don Franco, chiude gli occhi alla luce; buio nel quale sprofonda diventa il nostro buio. Ci sembra che la vita ci tradisca e che il Dio della vita ci tradisca: “Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato?” e sembra rintronare in noi quel forte grido perché ogni morte è un grido per la vita, un grido contro ciò che nega la vita. Ma in quest’uomo Gesù che muore all’ora sesta, qualcosa si rivela di inaudito se il Centurione pagano, assistendo a quel morire, non può far a meno di commentare: “veramente quest’uomo era figlio di Dio”. In quel morire si rivela una esistenza tutto e solo donata al Padre e agli uomini. Questo intuisce il Centurione: un uomo che vive e muore così, senza nulla trattenere per sé, non può essere che rivelazione di Dio. Il velo del temp0io si squarciò in due, da cima a fondo. Crolla la barriera, il diaframma. Ora è possibile vedere tutto e tutto comunicare. È quanto scoprono Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome. Vanno per onorare una morte vittoriosa sulla vita e si imbattono in una vita vittoriosa sulla morte. Ciò che succede, con la morte nel tempo, è solo più apparenza. Il servo di Dio don Oreste Benzi ebbe ad affermare “nel momento in cui chiuderò gli occhi a questa terra, la gente che sarà vicino dirà: è morto. In realtà è una bugia. Sono morto per chi mi vede, per chi sta lì, ma in realtà la morte non esiste perché appena chiudo gli occhi a questa vita, li apro all’Infinito di Dio”. So di condividere con voi questa incrollabile certezza: quando un nostro amico non vive più, vive di più. Non è questo che celebriamo, portando a sepoltura questo nostro fratello don Franco? È Pasqua quanto stiamo celebrando. E questo non ci esonera né dal buio, né dal grido di Gesù. Ma è Pasqua: “non è qui, è Risorto!”. La vita e la morte di questo nostro fratello sono come il velo del tempio che cade. Vediamo il Signore della vita più vicino; vediamo meglio il senso del nostro vivere e del nostro morire; vediamo ciò che già siamo, FIGLI e che saremo in pienezza; vediamo che l’amore coincide con la vita e che la vita è già resurrezione se donata giorno dopo giorno, attimo dopo attimo, fino all’ultimo respiro come abbiamo ammirato in don franco. Il cuore ne esce confortato perché nessun ostacolo più potrà schiacciare la nostra speranza, neanche il pesante masso che ostruisce l’ingresso del sepolcro: non fatica, non prova, non delusione, non solitudine, non tumore, non senilità, non pandemia. Nulla ci può far dubitare che a questo siamo chiamati e questo ci viene donato. d. Franco Mazzon era il più anziano dei salesiani. Era arrivato in comunità dalla Toscana, dove era stato PARROCO a Colle Val d'Elsa, Scandicci, Pisa, Livorno e in altre case per ben 50 anni. Lui era nato proprio davanti alla parrocchiale di Abano. Erano 3 fratelli, uno dei quali era un artista, pittore di una certa levatura. Per l’amore ricevuto in famiglia e dopo il suo rientro dalla Toscana, don franco ricorda quello premuroso della sorella Anna, una sorella che tutti vorrebbero avere. Intraprese gli studi di teologia a Torino, dopo quelli di filosofia a Roma san Callisto, con la scusa che sarebbe stato troppo comodo restare a studiare a Monteortone (dove ci si preparava a diventar preti nella struttura adiacente a questo Santuario). Dopo l'ordinazione sacerdotale, gli avevano detto di studiare ARTE e a lui piaceva, e fu assai dispiaciuto di dover passare, dopo il primo anno, a LETTERE, laurea più spendibile nelle scuole dei salesiani. Ci raccontava che, dovendo fare il preside, il professore, il direttore e pure il cappellano di un ospedale, per non impazzire, gli avevano consigliato di fare lavoretti di bricolage... E fino a ieri c'era sempre, quando c'erano sedie da avvitare, quadretti da comporre o rosari da rimettere a nuovo. Qualche anno fa aveva provato anche ad imparare ad usare il computer. Ha visto persino internet, ma... Lui era uno di una volta. Diceva un nostro confratello, che "quando scriveva era come se dipingesse". Era molto gentile, sempre attento, non solo verso i confratelli, soprattutto in feste e ricorrenze personali, ma anche verso i collaboratori di Mamma Margherita e del San Marco. Si informava delle situazioni familiari, delle fatiche e, a suo modo, cercava sempre una mediazione, con qualche segno concreto di vicinanza: un vasetto di miele. Sempre disponibile ad accompagnare chiunque a Padova o negli ospedali. Era il più vecchio ed insieme, il più VIVO. Già il suo papà, portiere d'albergo, lo definiva, "un santo"... e certamente, con tonsura e talare, facilmente dava quell'impressione. Non ha sofferto! diciamo noi, ma ci dimentichiamo, che tutti i suoi dolori, le sue croci, non le ha mai fatte pesare, mai fatte vedere... Era fatto così. Ed è morto come ha vissuto, in punta di piedi e con un sorriso inalterabile. Nell’immaginetta ricordo, abbiamo riportato una frase di san Paolo ai Filippesi: siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto, siate lieti; la vostra amabilità (e lui ne aveva tanta) sia nota a tutti. Allora possiamo fare Eucarestia: rendimento di grazie per questa vita e questa morte, per ciò che questo fratello è stato: un dono, un segno della presenza di Dio, una parola di consolazione e di incoraggiamento, per quanti lo hanno conosciuto ed incontrato. Il nostro momentaneo turbamento fiorisca in gioia, frutto della speranza che non delude, perché è Cristo risorto! Il ringraziamento eucaristico vuole essere aperto al superiore che presiede questa liturgia, al parroco, ai confratelli sacerdoti, agli amici della Toscana e a tutti voi indistintamente che partecipate con fede ed amore. Maria la madre di Gesù e nostra, invocata fonte di Salute e Grazia, ci protegga sempre.