Il salesiano: «Sono solo il frontman di un gruppo che fa tante cose e senza cui non ci sarebbero i progetti e quindi l’onorificenza»
di Adeloriana Orlando
RIVOLI VERONESE — Nascere e crescere con il senso di comunità nel cuore, con la consapevolezza che servono motivi ma ancor più persone per far vivere e sviluppare progetti a sfondo sociale: è proprio il caso di chi ha saputo tenere il timone di squadra anche in acque difficili, dando forma concreta a progetti di senso, in nome di un’umanità solidale sempre attenta agli ultimi. È anche la storia di don Paolo Bolognani, da tempo in azione nella zona del Garda-Baldo, premiato nei giorni scorsi al merito dal presidente della Repubblica Italiana e la sua prima reazione è una reazione di «senso»: «Il cavalierato lo accetto solo esteso a tutta la squadra, io ne sono il frontman e quindi sono solo una faccia. Senza loro non ci sarebbero tutti questi progetti».
Don Paolo non si sbilancia con le definizioni, non ama i titoli, e lo si intuisce subito.
Sessantun anni, una famiglia alle spalle di solide radici e di ispirazione francescana, la formazione da medico missionario, l’incontro con la dimensione salesiana, l’interesse per la mediazione tra mondi (diversi ma complementari) e la forte passione per le relazioni umane e sociali: una molteplicità di traiettorie che fanno della sua vocazione e missione una via vocazionale che lo lega alla Chiesa, in un Bolognani in cui la parrocchia corre quotidianamente accanto alle esperienze legate al sociale.
Per lui la molla è il desiderio di pensare la possibilità di costruire società più giuste, inclusive, e per questo capaci di unire chi vive ai margini con chi può operare, prendersi cura, investire tempo, mezzi, vita.
«Sento il lavoro salesiano come risposta alla spinta interiore francescana e da medico missionario – spiega don Paolo –. Da sempre mi affascina il legame tra chi soffre e chi può curare. Il sociale ha a che fare con l’essere umano, per questo non può che integrarsi anche nella comunità ecclesiale».
Le attività Don Bolognani sono capaci di coniugare a 360 gradi. Sono trecento le persone già operative nelle sue comunità ed entro fine anno aumenteranno
La sua impronta è sempre quella di un uomo che ha ben punti di riferimento, che ama essere regista dietro le quinte, fare il tifo per chi ha talento, energia, voglia di costruire.
Progetti legati all’inclusione, all’integrazione, al lavoro sociale, al volontariato giovanile, alle fragilità: sono tutte realtà che il sacerdote coordina quotidianamente insieme a decine di persone che si muovono sul territorio. «La forza vera è quella del gruppo» – afferma.
«Ho imparato a sperimentare e condividere – dice ancora –. La mia esperienza è che senza comunità non c’è possibilità di realizzazione piena dei percorsi. Ma anche l’educazione alla cittadinanza attiva va coltivata, per un vero cambiamento».
Oggi sono oltre 300 le persone attive nelle sue comunità: giovani, adulti, famiglie, migranti, professionisti, giovani in formazione.
«Tutti condividono la voglia di mettersi in gioco per trasformare in meglio la realtà che abitano».
L’impegno a 360 gradi è anche nella capacità di creare relazioni all’interno della comunità e con l’esterno, grazie a una visione organica e sistemica, fatta di connessioni tra settori apparentemente distanti: educativa, economica, sanitaria, culturale.
«La nostra scommessa – conclude – è quella di una comunità che diventi rigenerativa e accogliente, dove chi arriva non si senta un peso ma una risorsa. E, soprattutto, dove chi già vive qui, possa ritrovare il senso dell’accogliere».
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Pubblicato a pagina 22 del quotidiano L’Arena del 29 aprile 2025