27/02/2023

Don Sergio Dall'Antonia

OMELIA

Don Sergio Dall’Antonia

(11.04.1939 – 21.02.2023)

Mogliano Veneto, 27 febbraio 2023

1Cor 2,1-9 Sal 22 Mt 25,31-46

 

In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Le opere di misericordia, che sono amore messo in atto, hanno come destinatario Gesù stesso. Gesù non dice: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli è come se l’aveste fatto a me, ma l’avete fatto a me. Le nostre opere per i fratelli più piccoli coinvolgono direttamente Dio. E come la mancanza di amore è motivo di sofferenza per i fratelli, lo è allo stesso modo per Gesù. Quel non l’avete fatto a me dichiara che l’amore per Dio non c’è stato. Gesù, presentandoci le opere di misericordia, ci ricorda che solo l’amore è credibile e che solo chi vive amando si imprime nei cuori per sempre. Vivere per cercare le cose di lassù, per unire la terra al cielo, per cogliere il sapore dell’eterno tra le pieghe e le piaghe della terra: questo ha fatto don Sergio. Tutto questo non diventerà mai cenere. Le opere di misericordia incarnate da don Sergio saranno piuttosto per noi sempre delle braci presso cui scaldarci per vivere da risorti già ora.

La radice di ogni opera di misericordia è l’amore per Gesù. In don Sergio questo era evidente: conosceva Gesù, Lo frequentava, Lo amava, stava con Lui. Nel suo testamento spirituale (2014) ha scritto: Il mio desiderio è di divenire in Lui Amore. Alla luce di questo possiamo applicare a questo nostro confratello le parole di San Paolo: Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La sua sapienza era Gesù, vissuto nella propria carne e offerto ai giovani con una semplicità che non era mai ingenua.

Sono sette le opere di misericordia corporali. Sono sette le opere di misericordia spirituali. E sono sette le opere di misericordia di don Sergio.

La prima è l’umiltà. È un’opera perché costruisce comunione, fraternità, cuori capaci di amare. È la prima perché l’umiltà è la spina dorsale della carità. L’umiltà consente che la nostra fede, come scrive san Paolo, non sia fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio. Tale affidamento a Dio in don Sergio era lampante e faceva di lui un uomo buono, delicato, “senza peccato originale”, dolcezza fatta carne, come ha scritto un confratello. Sono convinto che solo quando l’umiltà innerva la vita consacrata, questa diventa testimonianza credibile. Quando ciò accade si possono raccogliere testimonianze come questa: Sempre in mezzo ai ragazzi, sempre primo alla preghiera, sempre al servizio della comunità, sempre al servizio dei ragazzi, sempre al servizio della Chiesa, sempre in cortile, sempre col sorriso sulla bocca, sempre accanto, sempre silenzioso, sempre umile, sempre coi poveri, sempre equilibrato, sempre puro, sempre positivo, sempre motivato, sempre una guida, sempre prete, sempre salesiano, sempre di Dio.

La seconda opera di misericordia di don Sergio è la preghiera. Così scrive don Tiziano Baracco ricordando i primi anni di Bacau: La sua generosa dedizione sgorgava da una cura particolare che lui stesso imponeva alla sua interiorità e alla cura della vita spirituale. Questa si manifestava in una presenza assidua in cappella, nel suo essere ancorato al breviario la cui recita era attenta, calda, mai banale o frettolosa, nello sgranare il rosario con quel suo corpo ricurvo eppure con gli occhi assorti in cielo, nel colloquio silenzioso, intimo e abbandonato, nelle sue numerose visite al Tabernacolo. Possiamo dire che don Sergio era più anima che corpo. Parlava poco ma faceva tanto e pregava tanto. C’è chi ricorda che nel campo al mare voleva la tenda-cappellina. Questo rapporto intimo con il Signore faceva di lui un confessore che lasciava conforto e gioia come nessun altro.

La terza è la disponibilità. Scrisse nella sua prima lettera dalla Romania nel ‘96: Ecco non si può tardare, ci chiamano. Io vado! Tu, se vuoi, vieni con me, con Don Bosco c’è posto. La disponibilità era forse la sua caratteristica più evidente e riconosciuta da tutti. Si coglieva che era una decisione derivante dallo sforzo di volontà e dal dominio di sé. Era la sua riposta a Gesù che gli diceva: quello che fai lo fai a me. Don Sergio era molto disponibile alla realtà ecclesiale locale: prontissimo al servizio ministeriale, presente nelle celebrazioni festose delle parrocchie limitrofe, sempre presente nelle lunghe ore di confessionale ove era ricercato dai sacerdoti e dalle religiose, disponibile alla predicazione di ritiri a comunità consacrate. Per lui servire la Chiesa era servire Cristo, quel Cristo che dice l’avete fatto a me. Per Lui non si risparmiava. Era apprezzato per la sua profondità che si percepiva venire dal suo vissuto: non rivolgeva parole ripetute dai libri, ma lette nel suo cuore, sofferte nella sua esperienza, macinate nel suo rapporto intimo con il Signore. Fu la sua diponibilità a farlo partire a 57 anni per l’avventura della Romania con l’incombenza di imparare una lingua nuova. La disponibilità la assorbì dalla mamma adottiva. Il papà, infatti, rimasto vedovo quando don Sergio aveva 7 anni, si risposò con un’esule istriana, Edda Cattich, che fu insignita della Medaglia d’Oro della Croce Rossa Italiana e nominata Grande Ufficiale della Repubblica Italiana. Fu una donna di carità, basti pensare che negli anni ‘90 aiutò i profughi del conflitto dei Balcani facendo arrivare a Zara ben diciannove container di materiali.

La quarta opera di misericordia è l’assistenza. A tal proposito così lo ricorda don Sandro Solari, il confratello che più d’altri gli è stato vicino in questi anni: Puntualissimo e generoso nell’assistenza o in veranda, con giochi e disegni, o in cortile girando per stare e dialogare con i giovani. Anche in certi momenti del sabato pomeriggio, pur essendo in prevalenza un’attività programmata e assistita, lui non mancava mai. Lo stare tra i giovani don Sergio lo viveva con la stessa dedizione e devozione con cui stava in cappellina. Una volta mi scrisse: Non sono le difficoltà che devono farci retrocedere, ma l’impossibilità di fare del bene alle anime. Avrebbe potuto ritirarsi tranquillo in camera invece stava il più possibile in cortile con mille espedienti per intrattenere i ragazzini o in fondo alla veranda, in quel nel “suo spazio” diventato una sorta di atelier artistico-creativo sempre abitato da frotte di piccoletti intenti a colorare, a sagomare, a incollare. Tutto questo era accompagnato da un’unica preoccupazione: fare del bene alle anime.

La quinta opera di misericordia è la pastorale delle piccole cose. La sua semplicità unita alle sue abilità manuali e artistiche -la casa di Bacau è ornata di statuine e volti di Don Bosco da lui cotti nel forno elettrico- lo portava a coinvolgere i ragazzi partendo dal punto in cui si trovavano. Così racconta Iosif, un ragazzo dell’oratorio di Bacau dei primi tempi, ora salesiano: È lui che attraverso la sua vita ci seminava piccoli semi di vita santa, raccontandoci attraverso i disegni, le narrazioni e le confidenze la bellezza di una vita piena al servizio di Dio per il prossimo. Da lui ho imparato come vivere le giornate col cuore, gustando le piccole cose che allora c’erano in oratorio. Ha saputo regalarci il suo cuore, donarci la gioia e insegnarci la semplicità della felicità. Una caramella, un disegno, una figurina di gesso oppure un aquilone. Un nuovo gioco creato, i trampoli di legno, i trucchi di magia... tutto questo per aprire il nostro cuore e farci vedere come Dio abitava in noi, come Dio ci voleva felici. Don Sergio Bergamin, compagno di viaggio della prima ora nella missione in Romania, così lo ricorda riguardo l’animazione vissuta attraverso le piccole cose: Ogni giorno, alla chiusura del piccolo oratorio che stava nascendo a Costanza, don Sergio si metteva al cancello e dava a ciascuno una caramella. Era la cosa più attesa della giornata: “Bomboana de plecare” (la caramella della partenza). E le caramelle erano come le castagne di don Bosco: non finivano mai!! Un uomo di una semplicità e praticità straordinaria. Sapeva tirar fuori dalle cose comuni, l’anima.

La sesta è il suo essere allegro e burlone. Aveva una ironia sottile capace di creare un ambiente disteso. A tavola in comunità oppure con i ragazzi in cortile amava scherzare, creare un clima sereno, prestarsi a scenette, fare battute ma sempre con molto garbo e delicatezza. Conservava in questo un animo di fanciullo. Viveva così questo invito di Gesù: Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno di Dio.

La settima opera di misericordia di don Sergio è la paternità. Queste parole del nostro giovane confratello Iosif ci fanno toccare con mano che la principale elemosina elargita è stata quella della paternità. Di fronte all’immagine di don Sergio resto in un silenzio contemplativo e piango, piango perché sento che dentro di me germoglia un seme di bontà ogni qual volta me lo immagino. Piango e ringrazio Dio che mi si è fatto presente attraverso la persona di don Sergio. Da lui ho imparato la gratuità, la preghiera, la potenza di un sorriso, l’attenzione ai poveri, la dedizione al lavoro. Ha saputo regalarci il suo cuore, donarci la gioia e insegnarci la semplicità della felicità. Una caramella, un disegno, una figurina di gesso oppure un aquilone. Don Sergio è stato un nonno, un padre, un maestro ed un amico di tanti ragazzi che non avevano un nonno, un padre, maestri o amici. Era attento soprattutto agli ultimi, ai tanti ragazzi vestiti male ma contenti di trovare qualcuno che li guardasse senza giudicarli. Li faceva sentire in famiglia e sembrava che avesse tempo e attenzioni per ciascuno. Don Sergio, come un padre che vorrebbe dare tutto, era una persona che non si vergognava di “piangere” davanti alla difficoltà di inculturarsi, di imparare la lingua, di non poter dare di più. Fu padre anche per i salesiani. Così ricorda don Tiziano: Con noi salesiani giovincelli me lo ricordo sempre incoraggiante, sempre pronto a sostenere e condividere i nostri progetti, le nostre idee, le nostre difficoltà, le nostre perplessità e a rileggerle nella luce di quel che avrebbe fatto don Bosco al posto nostro, nella luce della fede, nella fiducia dell’intercessione di Maria. Davvero fu un sostegno grande, nascosto, eppure forte, saldo.

Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Senza dubbio questa è una Parola di Dio che don Sergio ha vissuto. Lui voleva servire Gesù, far incontrare Gesù, portare a Gesù. E lo faceva in tanti modi. Basti pensare che in tarda età è entrato nel mondo di internet animando ben quattro blog. Don Sergio, vivendo Mt 25, sapeva che dinanzi a sé aveva un altro Gesù, piccolo o grande che fosse. In ciascuno cercava di vedere Gesù e questo fatto ce lo rivela. Ricordo, racconta don Sergio Bergamin, che quando abbiamo tagliato un ciliegio per far uno spazio di gioco per i ragazzi, lui in quel ciliegio ha visto un grande crocifisso che poi, pian piano, con un coltellino, ha saputo intagliare. È diventata la nostra prima croce attraverso cui guardare le miserie e i dolori del mondo che ci circondava. Il Vangelo di Matteo ci invita a sapere vedere Gesù negli affamati, negli assetati, negli stranieri e in chi non è accolto, in chi è nudo, negli ammalati, nei carcerati. Dobbiamo anche noi imparare a intagliare l’umanità che incontriamo per far emergere il crocifisso che la abita.

Essere di Gesù è la via per far questo. Questa piccola preghiera, che nell’ultimo incontro delle tre comunità di Romania e Moldavia don Sergio ci ha confidato di pregare ogni giorno, riassume bene la carità con cui ha vissuto e il suo amore a Gesù. La chiamava “La preghiera della felicità”. Io amo ciò che sono, / io amo l’ambiente in cui vivo, / io amo coloro con i quali vivo, / io amo quello che faccio per obbedienza. / Io mi trovo bene qui con Te Gesù. / E cammino verso di Te, / con Maria la Mamma tua, e San Giuseppe che tanto ti amò. / Amen! Grazie Gesù.

Ci lascia un patriarca, il “Don Bosco della Romania” come più d’uno l’ha definito. A te don Sergio affido le comunità salesiane di Romania e Moldavia e i giovani che incontriamo in queste terre. So che l’ultima Ave Maria che hai recitato in ospedale, poco prima di andare in Paradiso, l’hai detta per le vocazioni, tema a te tanto caro. Insegnaci ad amarti, o Dio, perché quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano. Insegnaci ad amare, o Dio, perché solo chi ama come ha fatto don Sergio chiama.

A cura di don Igino Biffi Ispettore INE

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