24/09/2023

Grazie, sognatore

24 Settembre 2023

Torino Valdocco

GRAZIE, SOGNATORE

 

Carissimo e carissima,

con questa lettera desidero rivolgermi ai salesiani -come solitamente faccio mensilmente- ma anche a tutti coloro che nel Nord Est Italia, in Romania e in Moldavia operano con tanta passione per i giovani nel nome di Don Bosco (educatori, insegnanti, personale ausiliario, tecnici, amministrativi, membri della Famiglia Salesiana, volontari, animatori...). Vorrei provare a scrivere a ciascuno personalmente condividendo ciò che mi sta a cuore.

Come sai, in questo anno pastorale vivremo il bicentenario del Sogno dei nove anni di don Bosco. È un testo che ti invito a rileggere immaginando di avere innanzi don Bosco stesso che lo racconta proprio a te, quasi fosse un passaggio del testimone, un invito a farlo diventare carne e sangue nella tua vita. Il Sogno dei nove anni è l’atto di nascita del carisma salesiano in cui vi puoi cogliere la calligrafia di Dio, un evento che svela che esiste in natura, oltre all’attrazione terrestre, un’attrazione opposta, da chiamare celeste. Con il Sogno dei nove anni il Signore irrompe nella vita di Giovannino Bosco riversando in lui il Suo eterno sognare. Giovanni ne uscì sballottato tanto che alla fine del racconto scrive: Io rimasi sbalordito. [...] Le cose dette e le cose udite mi occuparono talmente la mente che per quella notte non mi fu possibile prendere sonno. I sogni che si affacciano alla nostra anima, mettendola a soqquadro, non lasciano in pace. Sono inquietudine, speranza, voce, talvolta grido, di quei desideri che da sempre ci scorrono nelle vene. Sono un invito alla verticalità. Anche in te abitano grandi sogni tanto da lasciarti sbalordito, sogni capaci di farti passare notti insonni perché riguardano la tua famiglia e le sue fragilità, la comunità e la sfida della fraternità, i figli e il loro futuro, i giovani e i loro affetti più cari. Riguardano te e il tuo desiderio di senso, la tua paura di non farcela, di perderti e la speranza di essere sulla strada giusta. Riguardano Dio e la rabbia che ti prende ogni volta che Lui non c’è. Siamo esseri mangiati e nutriti dai sogni. 

Ti confido che ho l’impressione che la parola sogno sia un po’ consumata. Mi sembra inflazionata, impolverata o, nel migliore dei casi, relegata alla fase bambina della vita. Temo che in essa si siano arrugginiti quegli ingranaggi che permettono al tempo di pensarsi al futuro e non solo al presente. Forse i nostri occhi hanno fatto il callo ai sogni e non sono più capaci di rimanere aperti al sorprendente inedito e alle improvvise meraviglie. I ragionamenti senza affidamento, eco della ricerca di una vita senza troppi intoppi, fanno trattenere il fiato ai sogni fino a non farli respirare più. Tonino Bello scrisse che non bisogna sparare sui sognatori perché, a dispetto di ogni realismo scientifico che pretende di far tenere a ogni costo i piedi per terra, coloro che oggi camminano con la testa per aria saranno gli unici ad aver ragione domani. Grazie, sognatore. Beato te se riuscirai a scartavetrare dalla parola sogno le incrostazioni di mancanza di speranza e di disillusione. Beati noi se riusciremo a darci una mano per rimuovere dai nostri sogni quella zavorra che non li fa innalzare verso l’Alto relegandoli al rango di semplici idee mordi e fuggi incapaci di far inspirare e ispirare la vita a pieni polmoni. Abbiamo bisogno di finestre spalancate sui sogni, di lancette che ci lascino osare quello che i sogni ci regalano, di scelte capaci di stare nella fatica della notte continuando a sognare. I sogni sono figli della notte, sono la possibilità di una notte diversa, una sorta di salvagente che conduce verso l’alba di un nuovo giorno. Siamo fatti di sogni. Dobbiamo solo risvegliarli disinnescando la parola ormai, vero sonnifero anche per i sognatori più esperti. Senza sogni diventa impossibile lo stesso atto creativo e la fantasia si riduce ad essere un volo senz’ali.

Quest’anno regalati spazi di sogno, luoghi in cui permettere a Dio di osare in te e con te, tempi in cui lasciarti abitare e interrogare dalla struggente assenza di un mondo diverso. Scrisse Pär Lagerkvist: Chi sei tu che il mio cuore ricolmi con la tua assenza? Che il mondo tutto ricolmi con la tua assenza?  I sogni ci abitano sempre, anche quando sono assenti. Sentirne l’assenza feconda il grembo della speranza. Vi è una emorragia di sogni quando questi vengono impallinati dal pragmatismo - che considera valido solo ciò che ha una applicazione pratica e un risultato concreto - e ridicolizzati da chi dovrebbe, invece, sognare con te. Così accadde a Giovanni Bosco: Al mattino ho tosto con premura raccontato quel sogno prima ai miei fratelli che si misero a ridere. Regaliamoci territori in cui sognare comunitariamente nella convinzione che i cambiamenti non avvengono guardando solamente ai bisogni, ma a partire dai sogni. Hanno una loro forza intrinseca che ci trascende perché il sogno non può abitare solo il tempo di una vita. Il Sogno dei nove anni ce lo conferma: va oltre don Bosco. E va oltre noi.

Lo sappiamo: non possiamo sognare per procura. È un atto personale, intimo, capace di imprimersi per sempre, se non altro come un desiderio ferito di cui son rimaste le cicatrici. In un modo o nell’altro i sogni lasciano il segno, anche attraverso noi. Siamo responsabili dei sogni degli altri, in particolare dei sogni dei giovani. La vocazione di un giovane è sognare, ha detto papa Francesco. A noi il compito di custodire tale vocazione, di fare delle nostre case salesiane un cortile in cui liberare la capacità di sogno dei giovani e in cui lasciarsi evangelizzare dai loro sogni per frequentare il futuro. A noi il compito di essere anfore all’interno delle quali raccogliere con cura tali sogni in erba anche quando paiono una chiamata impossibile, come accadde a Giovannino Bosco. Dio li trasformerà in vino se noi, anfore, saremo imprenditori di sogni ascoltando quella Maestra che a Cana disse: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2,5). Quando ascoltiamo la sua Parola, la nostra vita diventa il grembo dei sogni di Dio. Anche Dio sogna. 

 Un’ultima cosa. Chi vede un fiume guarda il verso in cui scorre, dove scende secondo la corrente. Ma il futuro di un fiume è alla sorgente. Questo bicentenario del primo sogno di don Bosco è l’occasione per disegnare il futuro mettendo le mani in pasta nella fonte sorgiva del carisma salesiano coscienti che, come scrive il nostro Rettor Maggiore don Ángel Artime, abbiamo bisogno degli altri per costruire noi stessi e il nostro sogno (Strenna 2024). Fin d’ora ti dico Grazie per quanto farai quest’anno nell’opera salesiana in cui ti trovi e in tutti quei luoghi che hanno bisogno di nutrirsi di sogni. Ti auguro che alla fine di questo anno pastorale qualcuno di dica: Grazie, sognatore

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 Erri De Luca, E disse, Feltrinelli 2011, p.40-41.

 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855 in Fonti Salesiane, p.1177.

 Tonino Bello, Ad Abramo e alla sua discendenza, Edizioni La Meridiana 2000, p.44.

 Pär Lagerkvist, La Terra della Sera, Edizioni di Pagina 2007, p.72. Pär Lagerkvist (1891-1974), romanziere, poeta, autore di testi teatrali. Nelle sue opere si interroga sulla condizione umana e sulla necessità di un Dio che, però, si nasconde, si sottrae, sta in silenzio.

 Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855 in Fonti Salesiane, p.1177.

 Papa Francesco, Ai giovani del “Progetto Policoro” della Conferenza Episcopale Italiana, 5 giugno 2021.

 Cf. Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855 in Fonti Salesiane, p.1176.

 Erri De Luca, E disse, Feltrinelli 2011, p.10.