28/12/2023

«Il sogno che fa sognare»

Strenna 2024

«Il sogno che fa sognare»

Un cuore che trasforma i “lupi” in “agnelli”

 

Durante il mio servizio come Rettor Maggiore ho potuto constatare che la Strenna è uno dei doni più belli che don Bosco e i suoi successori offrono ogni anno a tutta la Famiglia Salesiana. Essa è un aiuto a camminare insieme e raggiunge in modo capillare i luoghi più lontani e, allo stesso tempo, lascia alle singole realtà la libertà di accogliere, integrare, valorizzare quanto proposto per il cammino proprio delle singole comunità educative pastorali.

In questo 2024 celebreremo il secondo centenario del «sogno-visione avuto da Giovannino tra i nove e dieci anni nella casetta dei Becchi»1 nel 1824: il sogno dei nove anni.

Ritengo che la ricorrenza bicentenaria del sogno che «condizionò tutto il modo di vivere e di pensare di don Bosco. E in particolare, il modo di sentire la presenza di Dio nella vita di ciascuno e nella storia del mondo»2, meriti di essere messo al centro della Strenna, che guiderà l’anno educativo pastorale di tutta la Famiglia Salesiana. Esso potrà essere ripreso e approfondito nella missione evangelizzatrice, negli interventi educativi e nelle azioni di promozione sociale che in ogni parte del mondo fanno capo ai gruppi della nostra Famiglia, che trova in Don Bosco il padre ispiratore.

«Vorrei qui richiamare il “sogno dei nove anni”. Mi sembra infatti che questa pagina autobiografica offra una presentazione semplice, ma al tempo stesso profetica, dello spirito e della missione di Don Bosco. In esso viene definito il campo di azione che gli viene affidato: i giovani; viene indicato l’obiettivo della sua azione apostolica: farli crescere come persone attraverso l’educazione; viene offerto il metodo educativo che risulterà efficace: il Sistema Preventivo; viene presentato l’orizzonte in cui si muove tutto il suo e nostro operare: il disegno meraviglioso di Dio, che prima di tutti e più di ogni altro, ama i giovani»3. Così scriveva don Pascual Chávez Villanueva, Rettor Maggiore emerito, a conclusione del commento alla Strenna 2012, offerta alla Famiglia Salesiana per il primo anno del triennio in preparazione al bicentenario (anno 2015) della nascita di don Bosco.

Tale testo rappresenta una bella sintesi che presenta l’essenza di ciò che il sogno dei nove anni è nella sua semplicità e profezia, nel suo valore carismatico ed educativo. È un sogno emblematico che, lungo quest’anno, cercheremo di avvicinare ancor più al cuore e alla vita di tutta la Famiglia di Don Bosco. È un sogno, un «famosissimo sogno-visione che sarebbe diventato e tuttora costituisce un pilastro importante, quasi un mito fondativo, nell’immaginifico della Famiglia salesiana»4, che, certamente, richiede una contestualizzazione e un’attenzione critica – cosa che Don Bosco stesso fece e che i nostri esperti di storia salesiana hanno compiuto -per poterne offrire una lettura e dare un’interpretazione attuale, vitale ed esistenziale. Indubbiamente è un sogno che Don Bosco ha conservato nella mente e nel cuore per tutta la vita, come lui stesso dichiara: «A quell’età ho fatto un sogno, che mi rimase profondamente impresso nella mente per tutta la vita»5. Si tratta quindi di un sogno che è stato presente in lui e in tutto il cammino della Congregazione Salesiana fino ad oggi e che indubbiamente raggiunge l’intera nostra Famiglia Salesiana.

Nelle parole di don Rinaldi, riferite in occasione del primo centenario del sogno, leggiamo: «Il suo contenuto infatti è di tanta importanza che, in questa centenaria ricorrenza, dobbiamo farci uno stretto dovere di approfondirlo con più assidua meditazione in ogni suo particolare, e di metterne con generosità in pratica gli ammaestramenti, se vogliamo meritarci il nome di veri figli di Don Bosco e perfetti Salesiani»6. Stiamo vivendo con intensità l’evento straordinario di questo secondo centenario che avrà senza dubbio molte manifestazioni in tutto il mondo salesiano. L’espressione di tutto questo raggiunga il momento più celebrativo, festoso e anche più profondo nella revisione speranzosa della nostra vita, facendo proposte coraggiose ai giovani per aiutarli a sognare “in grande”, certi della presenza del Signore Gesù e “mano nella mano” con la Maestra, la Signora nostra Madre.

«HO FATTO UN SOGNO...»: UN SOGNO MOLTO SPECIALE

Proprio così, duecento anni fa Giovannino Bosco fece un sogno che lo avrebbe “segnato” per tutta la vita; un sogno che avrebbe lasciato in lui una traccia indelebile, il cui significato don Bosco comprese pienamente solo al termine della vita. Ecco, allora, il sogno raccontato dallo stesso Don Bosco secondo l’edizione critica di Antonio da Silva Ferreira, da cui ci discostiamo solo per due piccole varianti7.

[Cornice iniziale] A quell’età ho fatto un sogno, che mi rimase profondamente impresso nella mente per tutta la vita.

[Visione dei ragazzi e intervento di Giovanni] Nel sonno mi parve di essere vicino a casa in un cortile assai spazioso, dove stava raccolta una moltitudine di fanciulli, che si trastullavano. Alcuni ridevano, altri giuocavano, non pochi bestemmiavano. All’udire quelle bestemmie mi sono subito lanciato in mezzo di loro adoperando pugni e parole per farli tacere.

[Apparizione dell’uomo venerando] In quel momento apparve un uomo venerando in virile età nobilmente vestito. Un manto bianco gli copriva tutta la persona, ma la sua faccia era così luminosa, che io non poteva rimirarlo. Egli mi chiamò per nome e mi ordinò di pormi alla testa di que’ fanciulli aggiungendo queste parole: «Non colle percosse ma colla mansuetudine e colla carità dovrai guadagnare questi tuoi amici. Mettiti adunque immediatamente a fare loro un’istruzione sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù». Confuso e spaventato soggiunsi che io era un povero ed ignorante fanciullo incapace di parlare di religione a que’ giovanetti. In quel momento que’ ragazzi cessando dalle risse, dagli schiamazzi e dalle bestemmie, si raccolsero tutti intorno a colui che parlava.

[Dialogo sull’identità del personaggio] Quasi senza sapere che mi dicessi, «Chi siete voi», soggiunsi, «che mi comandate cosa impossibile?». «Appunto perché tali cose ti sembrano impossibili, devi renderle possibili coll’ubbidienza e coll’acquisto della scienza». «Dove, con quali mezzi potrò acquistare la scienza?». «Io ti darò la maestra sotto alla cui disciplina puoi diventare sapiente, e senza cui ogni sapienza diviene stoltezza». «Ma chi siete voi, che parlate in questo modo?». «Io sono il figlio di colei, che tua madre ti ammaestrò di salutar tre volte al giorno». «Mia madre mi dice di non associarmi con quelli che non conosco, senza suo permesso; perciò, ditemi il vostro nome». «Il mio nome dimandalo a Mia Madre».

[Apparizione della donna di aspetto maestoso] In quel momento vidi accanto di lui una donna di maestoso aspetto, vestita di un manto, che risplendeva da tutte parti, come se ogni punto di quello fosse una fulgidissima stella. Scorgendomi ognor più confuso nelle mie dimande e risposte, mi accennò di avvicinarmi a Lei, che presemi con bontà per mano, e «guarda», mi disse. Guardando mi accorsi che quei fanciulli erano tutti fuggiti, ed in loro vece vidi una moltitudine di capretti, di cani, di gatti, orsi e di parecchi altri animali. «Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Renditi umile, forte, robusto; e ciò che in questo momento vedi succedere di questi animali, tu dovrai farlo pei figli miei». Volsi allora lo sguardo ed ecco invece di animali feroci apparvero altrettanti mansueti agnelli, che tutti saltellando correvano attorno belando come per fare festa a quell’uomo e a quella signora. A quel punto, sempre nel sonno, mi misi a piangere, e pregai quello a voler parlare in modo da capire, perciocché io non sapeva quale cosa si volesse significare. Allora Ella mi pose la mano sul capo dicendomi:

«A suo tempo tutto comprenderai».

[Cornice conclusiva] Ciò detto un rumore mi svegliò ed ogni cosa disparve. Io rimasi sbalordito. Sembravami di avere le mani che facessero male pei pugni che aveva dato, che la faccia mi duolesse per gli schiaffi ricevuti; di poi quel personaggio, quella donna, le cose dette e le cose udite mi occuparono talmente la mente, che per quella notte non mi fu possibile prendere sonno. Al mattino ho tosto con premura raccontato quel sogno prima a’ miei fratelli, che si misero a ridere, poi a mia madre ed alla nonna. Ognuno dava al medesimo la sua interpretazione. Il fratello Giuseppe diceva: «Tu diventerai guardiano di capre, di pecore o di altri animali». Mia madre: «Chi sa che non abbi a diventar prete». Antonio con secco accento:

«Forse sarai capo di briganti». Ma la nonna, che sapeva assai di teologia, era del tutto analfabeta, diede sentenza definitiva dicendo: «Non bisogna badare ai sogni». Io era del parere di mia nonna, tuttavia non mi fu mai possibile di togliermi quel sogno dalla mente. Le cose che esporrò in appresso daranno a ciò qualche significato. Io ho sempre taciuto ogni cosa; i miei parenti non ne fecero caso. Ma quando, nel 1858, andai a Roma per trattar col Papa della congregazione salesiana, egli si fece minutamente raccontare tutte le cose che avessero anche solo apparenza di soprannaturali. Raccontai allora per la prima volta il sogno fatto in età di nove in dieci anni. Il Papa mi comandò di scriverlo nel suo senso letterale, minuto e lasciarlo per incoraggiamento ai figli della congregazione, che formava lo scopo di quella gita a Roma.

Lo stesso sogno si ripresenterà più volte nella vita di don Bosco e lui stesso, che ci ha narrato di suo pugno nelle Memorie quel primo evento di cui ora ricorre il bicentenario, racconta a più riprese quanto a distanza di tanti anni nuovamente sogna. Infatti, il sogno dei nove anni non è un sogno isolato, ma appartiene a una lunga e complementare sequenza di episodi onirici che hanno accompagnato la vita di Don Bosco. Egli stesso collega, integrandoli tra loro, tre sogni fondamentali: quello del 1824 (ai Becchi), quello del 1844 (nel Convitto ecclesiastico) e quello del 1845 (nelle opere della Marchesa di Barolo), in cui vi sono elementi di continuità e altri di novità. Nel sogno sempre si riconosce in filigrana quel primo quadro e scena del prato dei Becchi, ma con nuovi particolari, reazioni, messaggi, legati alle stagioni della vita che, non il Giovannino dei nove anni ma il Don Bosco nel pieno sviluppo della sua missione, sta vivendo.

In un’altra occasione, molti anni dopo, fu Don Bosco stesso a raccontarlo a don Barberis nell’anno 1875, quando aveva già sessant’anni. In quel tempo don Bosco aveva assistito alla nascita della Congregazione Salesiana (18 dicembre 1859), dell’Arciconfraternita di Maria Ausiliatrice (18 aprile 1869), dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (5 agosto 1872) e della Pia Società dei

Cooperatori Salesiani – secondo il nome originario dato da Don Bosco – approvata il 9 maggio 1876.

Quando questo sogno si presenta l’ultima volta Don Bosco è, come ho già detto, un uomo maturo: ha sperimentato tante situazioni, ha affrontato e superato numerose difficoltà, ha constatato di persona cosa la Grazia e l’Amore della Vergine Maria hanno operato nei suoi ragazzi; ha visto tanti miracoli della Provvidenza e ha sofferto non poco. «“Un giorno tutto comprenderai” gli aveva profetato il primo sogno; e nel 1887 alla Messa di consacrazione del tempio al Sacro Cuore in Roma, sentì riecheggiare al suo orecchio quella voce e pianse di gioia, pianse contemplando gli effetti mirabili della sua fede invitta»8.

UN SOGNO A CUI TUTTI I RETTORI MAGGIORI HANNO FATTO RIFERIMENTO

Sono particolarmente colpito dal fatto che tutti i Rettori Maggiori , ad eccezione di don Rua da chi non sono riuscito a trovare alcuna citazione, hanno fatto riferimento al sogno, a questo sogno di Don Bosco che ha segnato la nostra Congregazione e la Famiglia Salesiana. Mi avvalgo in questo momento di un magnifico lavoro di ricerca svolto dal signor Marco Bay9.

Don Paolo Albera, secondo successore di Don Bosco, riferendosi all’Oratorio di Valdocco come all’Oratorio di Don Bosco, opera prima e per molti anni unica, si riferisce al sogno come al sogno misterioso in cui la Provvidenza gli affida la missione:

«L’Opera prima, anzi per molti anni unica, di D. Bosco è stato l’Oratorio festivo, il suo Oratorio festivo, quale egli lo aveva già intraveduto nel misterioso sogno fatto a nove anni e nei susseguenti che progressivamente gli illustrarono la mente circa l’Opera della Provvidenza affidatagli»10.

Don Filippo Rinaldi, terzo successore di Bosco, è colui che ha l’opportunità di vivere il primo centenario di questo sogno e cerca di fare in modo che tutta la Congregazione sia impregnata della grazia di vivere questo evento. Per questo incoraggia nel modo seguente:

«Nella mia circolare sul Giubileo delle nostre Costituzioni vi ho già accennato, miei cari figli, alla ricorrenza del centenario del primo sogno di Don Bosco, invitandovi a meditare questo sogno e a praticarlo (…) Rileggiamo assieme, o miei carissimi, la pagina scritta dal Ven. Padre per nostro ammaestramento, in obbedienza al Vicario di Gesù Cristo; sì, rileggiamola con grande venerazione, e fissiamocela in mente parola per parola, questa pagina che ci descrive evangelicamente l’origine soprannaturale, la natura intima e la forma specifica della nostra vocazione. Più si legge e più diventa nuova e luminosa»11.

 E in questo stesso scritto lascia intendere ai confratelli che, come con il sogno dei nove anni Don Bosco fu chiamato a una missione, così anche noi, sotto la guida della Vergine, siamo stati chiamati, con la benevole guida della Vergine stessa che ci prende per mano, ci mostra il nostro campo d’azione e ci stimola in mille modi ad acquisire i doni dell’umiltà, della forza e della salute. Comprendiamo perfettamente come sia applicato a noi il perentorio invito di essere forti, umili e robusti. Invito che la Signora del sogno consegnò a Giovannino Bosco.

«Anche noi abbiamo avuto l’ordine di acquistare i mezzi necessari a mettere in pratica questo metodo, cioè l’obbedienza e la scienza, sotto la guida della Vergine; il che abbiamo fatto (o stiamo facendo) negli anni della nostra formazione religiosa e sacerdotale. Durante tutti questi anni felici la Vergine SS. prese anche noi con bontà per mano e, additandoci il futuro campo della nostra azione, ci stimolò in tutti i modi all’acquisto dell’umiltà, della fortezza e della salute, che sono le qualità strettamente necessarie per ogni vero figlio di Don Bosco. Anche a noi infine sarà dato vedere moltitudini di giovani, prima ignoranti affatto delle cose di Dio, e forse già vittime infelici del male, correre illuminati, risanati e gioiosi a far festa a Gesù e a Maria SS. Ausiliatrice»12.

E, quasi come incoraggiamento a celebrare questo bicentenario in modo grande e significativo, riprendo il Bollettino Salesiano dei tempi di don Rinaldi, che racconta la celebrazione a Roma avvenuta alla sua presenza:

«Per un sogno - scriveva il Corriere d’Italia il 2 maggio u.s. - per la bellezza ideale di un sogno - ieri nell’ampio cortile delle Opere di Don Bosco a Roma si sono ritrovate in folla migliaia di anime anelanti e plaudenti, e il Cardinale Cagliero, il venerando Missionario, e il Successore stesso di Don Bosco, Don Rinaldi, e il Ministro della P. I. Pietro Fedele, a rendere gli omaggi commossi di tutte le potenze dello spirito al Maestro incomparabile che, nell’umiltà luminosa della Fede, aveva seguito le vie raggianti di quel sogno sublime (...) Una corona viva di giovani, di fanciulli e di fanciulle, gli allievi di Don Bosco; una schiera folta di uomini d’ogni ceto - professionisti, insegnanti, soldati, sacerdoti - adunati tutti nel nome del soave Maestro».

«Cent’anni fa (un altro Anno Santo, perché dimenticare?) Don Bosco fanciullo sognava il sogno dolce e misterioso; vedeva, prima, un gruppo di ragazzi della strada che rissavano fra loro bestemmiando ed imprecando; e tentava di richiamarli all’ordine con il bastone; vedeva, poi, una Signora e un Signore che lo conducevano presso un altro gruppo, di bestie, questa volta, di cani e di gatti che rissavano anch’essi, latrando e ghignando - ma che ad un cenno arcano dei Due si tramutavano in gregge di pacifici agnelli».

«Dopo cent’anni, quel sogno è una realtà - splendida, palpitante, grandiosa; - è una storia mirifica che impegna già il destino di milioni di creature, nelle Scuole, nelle Missioni, nella vita, nella preghiera, nella speranza; tutte le creature che hanno salutato e salutano Don Bosco il più grande e il più santo maestro di vita che la Chiesa e l’Italia abbiano dato al mondo nel secolo nostro»13.

E Don Pietro Ricaldone, quarto successore di Don Bosco, vede il germe dell’Oratorio festivo e di tutta l’Opera salesiana nel sogno che Giovannino fece all’età di nove anni. Seguiranno molte altre tappe, dice don Ricaldone, molte stazioni di un pellegrinaggio, prima di arrivare a Pinardi, nella sua terra.

«Non v’ha dubbio che il primo germe dell’Oratorio festivo e di tutta l’Opera Salesiana noi dobbiamo rintracciarlo, come dissi or ora, nel fatidico sogno che Giovannino ebbe all’età di nove anni. Fin d’allora la Donna di maestoso aspetto disse al pastorello dei Becchi: “Ecco il tuo campo: renditi umile, forte, robusto; e ciò che in questo momento vedi succedere di questi animali, tu dovrai farlo pei figli miei”.

I Becchi, Moncucco, Castelnuovo, Chieri, sono altrettante tappe: ma Giovannino Bosco è appena sulla sua via; egli cammina verso una mèta ulteriore. L’8 dicembre 1841 è, più che un punto d’arrivo, un altro punto di partenza. Nuovi pellegrinaggi egli deve compiere prima di arrivare alla tettoia Pinardi, a Valdocco, alla sua terra promessa. Per tornare alla prima immagine, la tenera pianticella ha trovato alfine la terra propria; da oggi in poi noi la vedremo irrobustirsi e ingigantire oltre ogni umana previsione»14.

Don Ricaldone ritiene addirittura che anche l’amore e lo zelo di Don Bosco per le vocazioni abbiano origine dal sogno dei nove anni:

«L’amore e lo zelo di Don Bosco per le vocazioni ha la sua prima origine nel fatidico sogno che egli ebbe all’età di nove anni, riprodottosi in diversi modi sostanzialmente uniformi per lo spazio di quasi vent’anni (…) Infatti dopo quel sogno, si accrebbe in Giovanni il desiderio di studiare per diventar sacerdote e consacrarsi alla salvezza dei giovani»15.

Don Renato Ziggiotti, quinto successore di Bosco, sottolinea, in modo del tutto particolare, il grande dono che la Maestra è stata per Don Bosco. Infatti, è il Signore che fa il dono della propria Madre a Giovannino, soprattutto come guida. Così si esprime:

«“Io ti darò la Maestra, sotto la cui disciplina puoi diventare sapiente e senza cui ogni sapienza diviene stoltezza” è la parola fatidica del primo sogno, pronunciata dal personaggio misterioso, “il Figlio di Colei che tua madre ti ammaestro di salutare tre volte al giorno”. È dunque Gesù che dona a Don Bosco la Madre sua come Maestra e guida infallibile nel duro cammino dell’intera sua vita. Come ringraziare abbastanza di questo dono straordinario che fu fatto dal Cielo alla nostra Famiglia?»16.

E lei, la Madre, la Madonna, la Signora del sogno sarà tutto per don Bosco. Questa certezza era molto forte e totalizzante in Don Ziggiotti ed è ciò che lo portava a chiedere ad ogni salesiano:

«La Madonna, a cui fu consacrato dalla mamma sul nascere, che illuminò l’avvenire suo nel sogno dei nove anni e poi tornò a confortarlo e consigliarlo, sotto mille forme, nei sogni, nello spirito profetico, nella visione interiore dello stato delle anime, nei miracoli e grazie senza numero, che operò invocandola; la Madonna è tutto per Don Bosco; e il Salesiano che vuole acquistare lo spirito del Fondatore deve imitarlo in questa devozione»17.

E Don Luigi Ricceri, sesto successore di Don Bosco ha delle magnifiche espressioni sul significato del sogno dei nove anni. Don Ricceri sottolinea quanto questo sogno sia stato importante per Don Bosco al punto da rimanere impresso nel suo cuore e nella sua mente per sempre, e come attraverso questo, si sia sentito chiamato da Dio:

«Il sogno dei nove anni. È il sogno — scrive Don Bosco nelle sue “Memorie” — che “mi rimase impresso nella mente per tutta la vita” (MO, 20).

L’impressione incancellabile di questo sogno-visione è dovuta al fatto che è stato come ima luce improvvisa che chiariva il senso della sua giovane esistenza e ne tracciava il cammino. Come il piccolo Samuele, Don Bosco si sente chiamato e mandato da Dio in vista di una missione: salvare i giovani di tutti i luoghi, di tutti i tempi: quelli dei paesi cristiani e la «moltitudine» di quelli che nelle regioni non cristiane vivono ancora l’attesa del grande avvento del Signore»18.

È questo il sogno, racconta Don Ricceri, in cui Don Bosco, ancora senza piena lucidità a causa della sua giovane età, intuisce il grande valore del vivere per salvare le anime, e questa convinzione prende forma nella sua vita, nella sua mente, nel suo spirito, sempre più come dono di grazia. Ed è attraverso questo evento decisivo della sua vita che Don Bosco ebbe la prima grande intuizione di ciò che il sistema preventivo sarebbe stato in futuro. «Non colle percosse, ma con la carità dovrai guadagnare questi tuoi amici», scrive Don Bosco nella narrazione dell’evento, sentendolo dalle labbra della Signora. Tanto che in futuro si potrà parlare di un rapporto prezioso tra Don Bosco e la Madre del Signore. Così si esprime magnificamente don Ricceri:

«A partire da questo sogno si stringe tra Don Bosco e la Madre di Gesù quel rapporto a due, quella collaborazione permanente, che caratterizza la vita del futuro apostolo»19.

Don Egidio Viganò, settimo successore di Don Bosco ci offre altre riflessioni non meno stimolanti. Sono felice di vedere questa magnifica linea di continuità di tutti i rettori maggiori nel leggere, meditare e interpretare il sogno per eccellenza, ricavandone spunti utili anche per il momento attuale. Don Viganò conferma, come altri successori di Don Bosco prima di lui, che Maria è la vera ispiratrice, Maestra e guida della vocazione di Giovanni, del nostro Padre Don Bosco.

«Mi pare di particolare interesse fare osservare che già ai nove anni, nel famoso sogno (che si ripeterà più volte e a cui Don Bosco annette particolare incidenza nella sua vita) Maria si affaccia alla sua coscienza di fede come un personaggio importante interessato direttamente a un progetto di missione per la sua vita; è una Signora che dimostra particolari preoccupazioni “pastorali” verso la gioventù: gli si è presentata, infatti, “a foggia di Pastorella”. Notiamo subito, qui, che non è Giovannino a scegliere Maria, ma che è proprio Maria che si presenta con l’iniziativa della scelta: Essa, su richiesta del suo Figlio, sarà l’Ispiratrice e la Maestra della sua vocazione»20.

La meravigliosa esperienza vissuta da Giovanni gli ha consentito di stringere una relazione molto personale con Maria – la Signora del sogno – ed è per questa ragione che Don Bosco sperimenterà intimamente, lungo l’intero corso della vita e per più volte, l’affetto molto speciale e grande da parte di Maria. Si tratta di una relazione davvero particolare con la Vergine Maria.

E anche Don Juan Edmundo Vecchi, ottavo successore di don Bosco, nota che, convinto come era Don Bosco di essere stato mandato ai giovani, tutto deve essere concentrato a quell’unico sacro scopo, i giovani, e a loro deve dedicare tutte le proprie energie. Tale è il filo del racconto che Don Bosco fa della sua vita nelle Memorie dell’Oratorio a partire dal primo sogno: «Il Signore mi ha mandato per i giovani, perciò bisogna che mi risparmi nelle altre cose estranee e conservi la mia salute per loro»21, sempre convinto di essere uno strumento del Signore e che tutta la sua vita sia segnata da questa chiamata e missione in mezzo ai giovani. Lo conferma un altro grande esperto di Don Bosco: «La fede di essere strumento del Signore per una missione singolarissima fu in Lui profonda e salda. Ciò fondava in Lui l’atteggiamento religioso caratteristico del servo biblico, del profeta che non può sottrarsi al volere divino»22.

 

Infine, Don Pascual Chávez, nono successore di don Bosco, tra una grande quantità di testi, ce ne offre uno che mi commuove. È un inno alla figura materna di mamma Margherita, che con la grazia di Dio, ha saputo accompagnare Giovannino interpretando e intuendo come, nel sogno dei nove anni, il Signore e la Vergine Maria stessero chiamando suo figlio a una vocazione molto speciale. Si potrebbe parlare, afferma don Pascual, di mamma Margherita come di una vera educatrice “salesiana”.

 

«È stata quest’arte educativa a permettere a Mamma Margherita di individuare le energie nascoste nei suoi figli, portarle alla luce, svilupparle e consegnarle quasi visibilmente nelle loro mani. Ciò va detto soprattutto nei riguardi del suo frutto più ricco: Giovanni. Quanto è impressionante notare in Mamma Margherita questo cosciente e chiaro senso di “responsabilità materna” nel seguire cristianamente e da vicino il proprio figlio, pur lasciandolo nella sua autonomia vocazionale, ma accompagnandolo ininterrottamente in tutte le tappe della sua vita fino alla propria morte!

Il sogno che Giovannino fece a nove anni, se fu rivelatore per lui, lo fu certamente anche (se non prima) per Mamma Margherita; è stata lei ad avere e a manifestare l’interpretazione: “Chissà che tu non abbia a diventar prete!”. E qualche anno dopo, quando comprese che l’ambiente di casa era negativo per Giovanni a causa dell’ostilità del fratellastro Antonio, ella fece il sacrificio di mandarlo a fare il garzone di campagna nella cascina Moglia di Moncucco. Una mamma che si priva del giovanissimo figlio per mandarlo a lavorare la terra lontano da casa, fa un vero sacrificio, ma ella lo fece, oltre che per eliminare un dissidio familiare, per indirizzare Giovanni su quella strada che le (e gli) aveva rivelato il sogno (…) La divina Provvidenza le fece la grazia di essere un’educatrice “salesiana”»23.

IL SOGNO PROFETICO: un gioiello prezioso nel carisma della Famiglia di Don Bosco

Nei punti precedenti abbiamo letto come Don Filippo Rinaldi invitasse i confratelli, e certamente in quel momento le Figlie di Maria Ausiliatrice, i Salesiani Cooperatori, i Devoti di Maria Ausiliatrice e immagino anche gli Exallievi, a leggere il sogno, ad approfondirlo, a interiorizzarlo e a sentirne l’eco, nel cuore. Non ho dubbi al riguardo. Certamente c’è unanimità in tutti gli scritti – siano essi ricerche storiche, studi storico-critici, riflessioni sulla spiritualità salesiana o letture educativo- pastorali – nel riconoscere che questo sogno è molto più di un semplice sogno. Contiene, infatti, così tanti elementi carismatici che oso definirlo un gioiello prezioso del nostro carisma e una vera e propria “road map” per la Famiglia di Don Bosco.

Si potrebbe davvero dire che in esso non manca nulla e non c’è nulla di superfluo. È a questo che ora voglio riferirmi.

Guardando al sogno

Dove guardare in questo momento? Innanzitutto, al sogno stesso, poiché contiene una sorprendente ricchezza carismatica. Come ho già detto, non c’è una parola di troppo e certamente non manca nulla. È più che evidente lo sforzo che Don Bosco ha fatto nello scriverlo per trasmetterci il fatto che non si tratta solo di “un” sogno, ma che dobbiamo vederlo come “il” sogno che avrebbe segnato tutta la sua vita – anche se allora, da bambino, non poteva immaginarlo. Infatti, «Don Bosco quasi sessantenne – si sentiva ormai anziano e lo era per l’epoca – dovette porsi il problema di dare una fondazione storico-spirituale alla sua Congregazione, con il ricordarne le origini provvidenziali che la giustificavano. Che cosa di meglio che “narrare” ai suoi figli come la culla della  “Congregazione  degli  Oratori”  nella  sua  genesi,  sviluppo,  finalità  e  metodo,  fosse un’istituzione voluta da Dio come strumento per la salvezza della gioventù nei tempi nuovi?»24. Infatti, le Memorie dell’Oratorio, in cui Don Bosco narra il sogno, non sono altro che il sogno dispiegato nella sua storia di vita, nell’Oratorio e nella Congregazione. Per questo egli dice anche nell’introduzione al suo manoscritto:

«Mi fo qui ad esporre le cose minute confidenziali che possono servire di lume o tornare di utilità a quella istituzione che la divina provvidenza si degnò di affidare alla Società di S. Francesco di Sales»25. E «A che dunque potrà servire questo lavoro? Servirà di norma a superare le difficoltà future, prendendo lezione dal passato; servirà a far conoscere come Dio abbia egli stesso guidato ogni cosa in ogni tempo; servirà ai miei figli di ameno trattenimento, quando potranno leggere le cose cui prese parte il loro padre, e le leggeranno assai più volentieri quando, chiamato da Dio a rendere conto delle mie azioni, non sarò più tra loro»26.

La narrazione delle Memorie dell’Oratorio (e del sogno dei nove anni che ne fa parte) è stata di tale importanza da coinvolgere nel suo studio, per tutta la vita, significativi esperti salesiani, cogliendo negli anni diverse prospettive. Un esempio ricco e degno di nota è costituito, ad esempio dalle varie sottolineature che il grande studioso di pedagogia salesiana, don Pietro Braido, ha svolto nel corso di diversi decenni. Si tratterebbe di «una storia edificante lasciata da un fondatore ai membri della Società di apostoli e di educatori, che dovevano perpetuarne l’opera e lo stile, seguendone le direttive, gli orientamenti e le lezioni» (1965); o «una storia dell’oratorio più “teologica” e pedagogica che reale, forse il documento “teorico” di animazione più lungamente meditato e voluto da don Bosco» (1989); «forse il libro più ricco di contenuti e di orientamenti preventivi» che don Bosco abbia scritto: “un manuale di pedagogia e di spiritualità “raccontata”, in chiara prospettiva oratoriana” (1999); o anche uno scritto in cui “la parabola e il messaggio” vengono prima e “al di sopra della storia”, per illustrare l’azione di Dio nelle vicende umane, e così, rallegrando e ricreando, “confortare e confermare i discepoli” in chiara prospettiva “oratoriana” (1999).27

Una delle pietre preziose di questo gioiello, a cui mi riferisco, è quella che consente a noi che entriamo nel sogno con cuore salesiano, qualunque sia il nostro cammino cristiano-salesiano o nella Famiglia di Don Bosco, di essere interpellati nel nostro cuore: siamo pronti ad imparare, siamo disposti a lasciarci sorprendere da Dio che accompagna la nostra vita, così come ha guidato la vita di Don Bosco, e a sentirci figli e figlie davanti a quella immensa paternità che emana dalla figura del nostro padre? Perché:

  • Se non si diventa CREDENTI e se non si è convinti che Dio opera nella storia, nella storia di Don Bosco e nella storia personale di ciascuno, si capirà poco o nulla delle Memorie dell’Oratorio e del sogno, e tutto questo sarà solo una “bella storia”.
  • Se non si diventa FIGLI o FIGLIE, non si riuscirà a sintonizzarsi con la paternità che don Bosco intende comunicare attraverso le Memorie dell’Oratorio.
  • Se non si diventa DISCEPOLI, disposti a imparare, non si entra veramente nello spirito delle Memorie dell’Oratorio e del sogno.

Mi sembra che queste tre disposizioni iniziali (fede, figliolanza e discepolato) siano “chiavi essenziali” per comprendere e assumere, per noi stessi, ciò che Don Bosco ha narrato e ci ha lasciato come eredità spirituale. Ciò che è avvenuto nella sua vita, e l’ha segnato e illuminato per sempre, don Bosco ha voluto che fosse un’eredità che aiutasse profondamente i suoi Salesiani e tutti noi che, per grazia, ci sentiamo e facciamo parte della sua Famiglia.

I giovani, protagonisti del sogno…

 Fin dal primo momento del sogno, la “missione oratoriana” affidata a Giovannino Bosco è evidente, anche se egli non sa bene come svolgerla o come esprimerla. Come possiamo vedere, la scena è piena di ragazzi, ragazzi che sono assolutamente reali nel sogno di Giovannino.

Pertanto, mi sembra possibile affermare che i giovani sono i protagonisti centrali del sogno, e che, anche se non pronunciano una parola, tutto ruota intorno a loro. Inoltre, gli stessi personaggi “celesti” e lo stesso Giovannino Bosco sono lì grazie a loro e per loro. L’intero sogno, dunque, è loro e per loro: per i ragazzi. Se escludessimo i giovani da questo sogno, non rimarrebbe nulla di significativo per la nostra missione.

Ma quello che è interessante è che essi non sono come una fotografia che fissa un’immagine in un istante. Questi ragazzi sono in perenne movimento e azione: sia quando sono aggressivi (come lupi) e quando non riescono a sopportarsi, sia quando, trasformati nel modo che la Signora del sogno chiede a Giovannino, diventeranno (come agnelli) ragazzi sereni, amichevoli e cordiali. La cosa più importante che accade nel sogno e che Don Bosco stesso impara e, successivamente, tutti i suoi seguaci, è scoprire che il processo di trasformazione è sempre possibile. Si tratta di un movimento – permettetemi di dire – “pasquale” di conversione e di trasformazione, di lupi in agnelli e degli agnelli in una - diremmo nel linguaggio di oggi – comunità giovanile che celebra Gesù e Maria. Mi sembra certamente un elemento essenziale e centrale del sogno.

…dove c’è una chiara chiamata vocazionale

«Ecco il tuo campo: renditi umile, forte, robusto; e ciò che in questo momento vedi succedere di questi animali, tu dovrai farlo per i figli miei»28. Ciò che accade nel sogno è soprattutto una chiamata, un invito, una vocazione, che sembra impossibile, irraggiungibile. Giovannino Bosco si sveglia stanco, ha persino pianto; e quando la chiamata viene da Dio (il personaggio di maestoso aspetto nel sogno è Gesù), la direzione che tale chiamata può prendere è imprevedibile e sconcertante.

Questo richiamo è qualcosa di molto speciale nel sogno, è di una ricchezza unica. Dico questo perché sembrerebbe che, a causa dell’età, del suo essere senza padre, della quasi totale mancanza di risorse, della povertà, dei problemi interni alla famiglia, dei litigi con il fratellastro Antonio, delle difficoltà di accesso alla scuola a causa della distanza e della necessità di lavorare nei campi, per Giovanni non ci sia un futuro possibile se non quello di rimanere lì, a coltivare i campi e a badare agli animali. Anche a noi potrebbe apparire un sogno irrealizzabile, lontano, forse destinato a qualcun altro, ma non a lui. È la stessa interpretazione che del sogno danno anche i familiari di Giovannino, come confermano le parole della nonna: «Non bisogna badare ai sogni»29.

Tuttavia, è proprio questa situazione difficile che rende Don Bosco (in questo momento Giovannino) molto umano, bisognoso di aiuto, ma anche forte ed entusiasta. La sua forza di volontà, il carattere, la tempra, la forza d’animo e la determinazione di sua madre, Mamma Margherita, una profonda fede sia da parte di sua madre che di Giovanni stesso, rendono tutto ciò possibile. Il sogno sarà sempre lì, ma lui lo scoprirà attraverso la vita: l’ho capito come, a poco a poco, tutto si è avverato... Non c’è magia, non è un sogno “fatato”, non c’è predestinazione, ma una vita piena di significato, di richieste, di sacrifici, ma anche di fede e di speranza che ci spinge a scoprirla e a viverla ogni giorno.

Nel sogno appare un uomo molto rispettabile, di aspetto virile, che parla a Giovanni, lo interroga, lo mette nelle mani di sua Madre, la Signora. C’è sicuramente un invio in missione. Una missione di pastore-educatore in cui è indicato anche un metodo: la mitezza e la carità. Ecco un esempio della sua risposta vocazionale:

«Giovanni, fedele fin dalla più tenera età all’ispirazione divina, incomincia a lavorare nel campo assegnatogli dalla Provvidenza. Ancor non ha compiuto i dieci anni ed è già apostolo tra i suoi conterranei della borgata di Murialdo. Non è esso forse un Oratorio Festivo, sia pure in embrione, in abbozzo, quello che nel 1825 il piccolo Giovanni inizia, servendosi dei mezzi compatibili con la sua età e con la sua istruzione?

Dotato di memoria prodigiosa, amante dei libri, assiduo alle prediche, egli di tutto fa tesoro, istruzioni, fatti, esempi, per ripeterli al suo piccolo uditorio, instillando con mirabile efficacia l’amore alla virtù in quanti accorrono ad ammirarne l’abilità dei giochi e a udirne l’infantile ma calda parola»30.

E lei, Maria, segnerà per sempre il sogno di Giovannino e la vita di Don Bosco

Arriviamo al momento centrale del sogno: la mediazione materna della Signora (legata al mistero del nome). Per Giovanni Bosco, sua madre e la Madre di colui che saluta tre volte al giorno, sarà un luogo di umanità in cui riposare, in cui trovare sicurezza e rifugio nei momenti più difficili.

«Io ti darò la maestra sotto alla cui disciplina puoi diventare sapiente, e senza cui ogni sapienza diviene stoltezza». È lei, infatti, che gli indica sia il campo dove dovrà lavorare sia la metodologia da utilizzare: «Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Renditi umile, forte, robusto». Maria è fin dall’inizio interpellata per la nascita di un nuovo carisma, in quanto è esattamente la sua specialità quella di portare in grembo e dare alla luce: per questo quando si tratta di un Fondatore, che deve ricevere dallo Spirito Santo la luce originaria del carisma, il Signore dispone che sia la sua stessa madre, Vergine della Pentecoste e modello immacolato della Chiesa, a fargli da Maestra. Lei sola, la “piena di grazia”, comprende infatti dal di dentro tutti i carismi, come una persona che conosca tutte le lingue e le parli come fossero la propria31. È come se il Signore del sogno dicesse al giovanissimo Giovanni Bosco: «D’ora in poi, vai d’accordo con lei».

«Notiamo subito, qui, che non è Giovannino a scegliere Maria, ma che è proprio Maria che si presenta con l’iniziativa della scelta: Essa, su richiesta del suo Figlio, sarà l’Ispiratrice e la Maestra della sua vocazione»32.

Questa dimensione femminile-materna-mariana è forse una delle dimensioni più impegnative del sogno. Quando guardiamo a questa realtà con serenità, questo aspetto si trasforma in qualcosa di bello. È Gesù stesso che gli dà una maestra, che è sua Madre, e che «il suo nome deve chiederlo a Lei»; Giovannino deve lavorare “con i suoi figli”, e sarà “Lei” che si occuperà della continuità del sogno nella vita, che lo prenderà per mano fino alla fine dei suoi giorni, fino al momento in cui capirà veramente tutto.

C’è un’enorme intenzionalità nel voler dire che, nel carisma salesiano a favore dei ragazzi più poveri, deprivati e privi di affetti, la dimensione del trattare con “dolcezza”, con mitezza e carità, così come la dimensione “mariana”, sono elementi imprescindibili per chi vuole vivere questo carisma. La Madonna ha a che fare con la formazione alla “sapienza del carisma”. Ed è per questo che è difficile capire che nel carisma salesiano ci sia qualcuno (persona, gruppo o istituzione) che lasci in secondo piano la presenza mariana. Senza Maria di Nazareth parleremmo di un altro carisma, non del carisma salesiano, né dei figli e delle figlie di Don Bosco. Don Ziggiotti lo dice in modo meraviglioso, in questa ricerca che abbiamo fatto sui commenti dei maggiori rettori sul sogno:

«Vorrei far persuasi tutti i Salesiani di questo fatto importantissimo, che illumina di luce celeste tutta l’esistenza del Santo e dà quindi un valore indiscutibile a tutto ciò che Egli fece e disse nella sua vita: la Madonna, a cui fu consacrato dalla Mamma sul nascere, che illuminò l’avvenire suo nel sogno dei nove anni e poi tornò a confortarlo e consigliarlo, sotto mille forme, nei sogni, nello spirito profetico, nella visione interiore dello stato delle anime, nei miracoli e grazie senza numero, che operò invocandola; la Madonna è tutto per Don Bosco; e il Salesiano che vuole acquistare lo spirito del Fondatore deve imitarlo in questa devozione»33.

Docile allo Spirito, confidando nella Provvidenza

Certamente c’è molto da imparare. Diventare umili, forti e robusti significa prepararsi a ciò che ci aspetta. Giovanni Bosco dovrà essere obbediente, docile alla saggezza del Maestro. Dovrà imparare a vedere e scoprire i processi di trasformazione; capire che l’itinerario, il percorso fatto con questi ragazzi porta alla vita, e all’incontro con il Signore del sogno e con sua madre, porta a Gesù e a Maria. Giovanni Bosco ha scoperto tutto questo.

La posta in gioco è l’obbedienza a Dio, la docilità allo Spirito. Come Maria è colei che “lascia che le cose accadano”, che lascia che ciò che Dio ha pensato e sognato avvenga in lei, fino a proclamare quel “fiat” a Dio, che il Signore ha fatto grandi cose in me, così anche il salesiano, la figlia di Maria Ausiliatrice, ogni cooperatore salesiano, ogni devoto di Maria Ausiliatrice, ogni membro della nostra Famiglia Salesiana, che è la Famiglia di Don Bosco, dovrà imparare e fare proprio questo stile di docilità allo Spirito. Aggiungo che vorrei che questo stile diventasse carne e vita in tutte le fasi della formazione iniziale e permanente in ogni gruppo, congregazione e istituzione salesiana. E non dimentichiamo che i “formatori”, i “formandi”, dovrebbero essere, dovremmo essere i primi a “lasciarci formare” dallo Spirito, come Maria.

Il sogno offre, come nessun altro elemento, come nessun’altra realtà, quelli che credo si possano definire indizi “inalienabili” del DNA del carisma. Sono questi indizi o “principi” che possono aiutarci a leggere, discernere e agire in sintonia con la fedeltà creativa.

E non dimentichiamo che questo è un compito comunitario, dobbiamo svolgerlo insieme, “sinodalmente” – potremmo dire oggi in linea con i recenti lavori sinodali – come Famiglia Salesiana.

Accompagnare Don Bosco nella riflessione sul suo sogno dei nove anni è anche sottolineare il suo abbandono alla Provvidenza, per collocarci, come lui, nel «a suo tempo tutto comprenderai». Lo stesso sogno era per Don Bosco un’azione della Provvidenza. Questa è la convinzione radicale, la scelta fondamentale della vita, “l’essenza dell’anima di Don Bosco”, il punto centrale, la parte più profonda e intima di lui. Non c’è dubbio che l’abbandono alla Divina Provvidenza, come aveva imparato dalla madre, è stato decisivo per il nostro padre e deve essere per noi la garanzia della continuità della spiritualità salesiana. È l’abbandono a Dio, la fiducia in Dio, perché il Dio che Don Bosco ha imparato ad amare è un Dio affidabile. Egli agisce realmente nella storia, e lo ha fatto nella storia dell’Oratorio, al punto che Don Bosco arrivò a dire ai direttori salesiani il 2 febbraio 1876:

«Le altre Congregazioni e Ordini religiosi ebbero nei loro inizii qualche ispirazione, qualche visione, qualche fatto soprannaturale, che diede la spinta alla fondazione e ne assicurò lo stabilimento; ma per lo più la cosa si fermò ad uno o a pochi di questi fatti. Invece qui tra noi la cosa procede ben diversamente. Si può dire che non vi sia cosa che non sia stata conosciuta prima. Non diede passo la Congregazione, senza che qualche fatto soprannaturale non lo consigliasse; non mutamento o perfezionamento, o ingrandimento che non sia stato preceduto da un ordine del Signore… Noi, per esempio, avremmo potuto scrivere tutte le cose che avvennero a noi prima che avvenissero e scriverle minutamente e con precisione»34.

Però, «non con le percosse». L’arte della dolcezza e della pazienza educativa

Il sogno non ci parla solo di un passato, ma anche di un presente, di un oggi che è estremamente attuale. Il «non con le percosse» che la Madonna dice a Giovannino nel sogno ci interpella anche oggi, e rende più che mai necessario riflettere sul nostro modo salesiano di educare i giovani, perché il discorso dell’odio e della violenza continua ad aumentare. Il nostro mondo sta diventando sempre più violento e noi, educatori ed evangelizzatori dei giovani, dobbiamo essere un’alternativa a ciò che tanto angosciava Giovannino nel suo sogno e che tanto ci ferisce oggi. Come già una volta ha dichiarato il Rettor Maggiore don Pascual Chávez nella Strenna del 201235, senza dubbio dovremo “affrontare i lupi” che vogliono divorare il gregge: l’indifferentismo, il relativismo etico, il consumismo che distrugge il valore di cose ed esperienze, le false ideologie, e altro che veramente colpisce ed è vera violenza.

Credo che questo messaggio sia attuale oggi come lo era quando Giovannino (il nostro futuro Don Bosco, padre e maestro) lo ricevette.

Il «non con le percosse» è un “no assoluto”. È molto chiaro, ed è l’unica correzione – potremmo quasi dire rimprovero – che Giovanni Bosco riceve nel sogno. E prima di ogni altra cosa, è per noi una certezza, la grande certezza che la strada della forza e della violenza non porta nella giusta direzione del carisma. Le «percosse» del sogno possono assumere oggi mille forme; infatti, mi sono interessato a leggere, riflettere e specificare molte delle forme più o meno sottili di violenza che ci circondano e che devono essere bandite dal nostro orizzonte educativo pastorale e dal nostro universo carismatico.

«Non con le percosse» significa combattere consapevolmente, senza alcuna giustificazione, ogni tipo di violenza:

  • Violenza fisica che danneggia il corpo (spingere, calciare, schiaffeggiare, mettere alle strette o immobilizzare, lanciare oggetti).
  • Violenza psicologica e verbale che danneggia l’autostima. Quella violenza che insulta e squalifica, che isola, che monitora e controlla senza rispetto. Quella violenza e quell’abuso psicologico che fanno sì che alcune persone sentano di non dare mai abbastanza di sé; quella violenza che fa sì che le persone si considerino sempre diverse e sbagliate, addirittura immature per aver pensato ciò che si pensa onestamente; quella violenza e quell’abuso da parte di chi si interessa all’altro solo quando vuole trarne profitto.
  • Violenza affettivo-sessuale che lede il corpo, il cuore e gli affetti più intimi; che lascia segni indelebili di dolore e può manifestarsi verbalmente o per iscritto, con sguardi o segni che denotano oscenità, molestie, prepotenze e persino abusi.
  • Violenza economica per la quale il denaro che è tuo o che serve per fare del bene viene trattenuto, sottratto, rubato.
  • Violenza è anche cyber-violenza, “cyberbullismo” con molestie attuate attraverso internet, i siti web, i blog, con messaggi di testo o di posta elettronica, o video
  • Violenza che nasce dall’esclusione sociale che vede persone, studenti, adolescenti esclusi, o umiliati pubblicamente, senza alcun rispetto.

Violenza caratterizzata da maltrattamenti, da verbi come minacciare, manipolare, svalutare, rifiutare, negare, mettere in discussione, umiliare, insultare, squalificare, deridere, mostrare indifferenza.

Non c’è dubbio che carismaticamente possediamo l’antidoto per queste situazioni che danneggiano la vita. Si tratta del genio pastorale di Don Bosco: «Ricordando, d’altra parte, che l’intervento di Maria nel primo sogno di Giovannino Bosco è stato quello che ha configurato inizialmente quel “genio apostolico” che ci caratterizza nella Chiesa, vi invito a concentrare insieme la nostra riflessione sul progetto che caratterizza la nostra genialità pastorale: il Sistema Preventivo»36.

LEI, la Signora: Maestra e Madre

La Signora del sogno si presenta come Maestra e Madre. È la madre di entrambi: del maestoso Signore del sogno e di Giovannino stesso; una madre - permettetemi la parafrasi - che, prendendolo per mano, gli dice:

Guarda”: quanto è importante per noi saper guardare, e quanto è grave quando non riusciamo a “vedere” i giovani nella loro realtà, in ciò che sono; quando non riusciamo a vedere ciò che di più autentico c’è in loro, e ciò che di più tragico e doloroso è presente in loro e nella loro vita. “Guarda” è la prima parola che dice «la donna di maestoso aspetto, vestita di un manto, che risplendeva da tutte parti, come se ogni punto di quello fosse una fulgidissima stella».

Senza voler “interpretare” troppo un singolo verbo, mi pare ci sia un segnale “preventivo” di quello che sarà di fatto la strada che nostro padre dovrà seguire, fatta soprattutto di apprendimento esperienziale. Pensiamo quanto gli occhi contano nella vita di Don Bosco… È quello che vede, arrivato a Torino – o meglio che il Cafasso lo aiuta a vedere – che fa nascere la nostra missione. È da come vede ogni ragazzo (ricordiamo i primi incontri nelle biografie che scrive): lì c’è l’incipit che è come un miracolo a cui segue tutto il resto, sia per Savio, che per Magone, che per Cagliero, per Rua… C’è nel museo di Chieri una scultura che rappresenta gli occhi e gli sguardi di don Bosco, che era rimasta accanto al suo altare nel 1988. C’è qualcosa di unico nel suo sguardo e quel “guarda” detto dalla Signora non è meno originale e unico.

Proprio attorno al “guardare” è possibile trovare un esplicito riferimento ad una parola per noi così fondamentale come l’assistenza. E tutti sappiamo come è essenziale.

La mia attenzione però non si allontana molto dal prato dei sogni ai Becchi, perché di fatto, senza che Giovannino se ne accorga, si formerà attraverso l’esperienza: imparerà dalla vita, soprattutto nei momenti di estrema difficoltà e fatica.

Guarda porta la persona a decentrarsi, a cogliere qualcosa che va oltre il proprio orizzonte e supera la propria immaginazione e che diventa invito, sfida, provocazione, appello e guida. Perché chiede un coinvolgimento pieno e totale mediante il quale Giovanni si prodigherà a favore dei ragazzi. Da qui si coglie anche l’importanza dell’ambiente in tutta la pedagogia salesiana.

Non si toglie nulla all’indispensabile cura dell’interiorità e del silenzio. Siamo chiamati ad alzare lo sguardo, sia quando lo fissiamo sul mistero di Dio, sia quando passiamo accanto all’uomo che «scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti» (Lc 10,30). Ed è ciò che sempre ha caratterizzato la persona di Don Bosco, dall’infanzia alla fine della vita.

Impara”: diventare umili, forti e robusti, perché c’è bisogno di semplicità di fronte a tanta arroganza; di forza di fronte a tante cose che si devono affrontare nella vita; e di quella robustezza che è la resilienza, ovvero la capacità di non scoraggiarsi, di non “lasciarsi cadere le braccia” quando sembra di non essere in grado poter fare qualcosa.

È interessante notare che a rendere “mite” (umile forte robusto) Giovannino sono gli eventi (l’esperienza) che la Provvidenza (Maria) mette sul suo cammino. Ad esempio, quando qualche tempo dopo il sogno, nel febbraio 1828 (e aveva soltanto dodici anni) mamma Margherita è costretta ad allontanarlo da casa a causa dei contrasti con Antonio. Giovanni alla sera giunge alla cascina Moglia, dove è accolto più per pietà che per un reale bisogno – non è d’inverno che si cercavano garzoni. In ogni caso, la cascina è abbastanza lontana ma allo stesso tempo abbastanza vicina a Moncucco dove c’è uno dei migliori parroci che la diocesi di Torino avesse, don Francesco Cottino (di cui per ora la nostra letteratura salesiana dice ancora pochissimo). Con lui Giovanni si incontra ogni domenica. È il primo “a tu per tu”, il primo incontro con una vera guida per Giovanni. Così una stagione che poteva essere solo triste e buia diventa un’occasione importantissima per il suo cammino. Sappiamo poi che il 3 novembre 1829 lo zio Michele lo riporterà in famiglia, ai Becchi. E che il 5 novembre Giovanni incontrerà don Calosso di ritorno dalla missione di Buttigliera.

Ritengo perciò molto importante sottolineare con forza l’incredibile regia-accompagnamento della Provvidenza. Giovanni corrisponde ad essa coinvolgendosi liberamente. Tuttavia, eventi e persone che al momento giusto si susseguono, sono gli artefici di quell’«umile, forte e robusto» indispensabile per la missione che intanto in lui matura sempre più.

È quindi evidente un primato della Grazia, che vale anzitutto per noi se siamo in grado di lasciarci formare e che diventa così fecondo per la missione. Al punto che non ci sono più limiti o difficoltà tali da impedire la crescita verso quella pienezza della vita che è la santità, qualunque sia il contesto, anche il più sfidante.

Ovviamente tutto ciò non ci esonera dal mettere tutto l’impegno per migliorare le situazioni e superare le ingiustizie. Infatti, Don Bosco si “alleerà” con la Provvidenza senza limitare i propri sforzi, gli incontri, la stesura di contratti di lavoro per difendere e tutelare i giovani apprendisti ospiti del primo oratorio. Soprattutto Don Bosco non toglie loro il cielo! Indicando come ci sia sempre “un di più”, una meta più alta a cui tutti possono accedere.

Analoga lezione suggerita da Santa Madre Teresa di Calcutta con il suo “inutile” prodigarsi per i moribondi di Calcutta. Tra l’altro, su un cartellone da lei scritto a mano e appeso nella sua camera all’inizio della sua nuova vita per i più poveri dei poveri, aveva fissato nero su bianco queste parole: “Da mihi animas cetera tolle”.

“E siate pazienti”, cioè diamo tempo a tutto e lasciamo che Dio sia Dio.

UN SOGNO CHE FA SOGNARE

Cari membri della Famiglia Salesiana, non posso concludere il mio commento alla Strenna, senza esprimere per i giovani e per noi, i tanti sogni che porto nel cuore. Possono identificarsi nel desiderio di continuare a crescere nella fedeltà carismatica; o con l’anelito e la provocazione serena davanti a cambiamenti che si presentano per noi difficili, con resistenze che possono soffocare il fuoco vivo del nostro carisma. Oppure spinte che vogliono tradurre in realtà lo stesso sogno di Don Bosco, ma duecento anni dopo!

Li condivido con voi, nella speranza che chiunque mi legga, in qualsiasi parte del vasto mondo salesiano sia, possa sentire che qualcosa di ciò che è scritto qui, è destinato anche a lui o a lei. Questi mi paiono alcuni elementi concreti per l’attualizzazione del sogno dei nove anni:

  1. Don Bosco ci ha mostrato nel corso della sua vita che solo le relazioni autentiche trasformano e salvano. Papa Francesco ci dice la stessa cosa: «Non basta dunque avere delle strutture se in esse non si sviluppano relazione autentiche; è la qualità di tali relazioni, infatti, che evangelizza»37. Per questo esprimo il desiderio che ogni casa della nostra Famiglia salesiana nel mondo sia o diventi uno spazio veramente educativo, uno spazio di relazioni rispettose, uno spazio che aiuti a crescere in modo sano. In questo possiamo e dobbiamo fare la differenza, perché le relazioni autentiche sono all’origine del nostro carisma, all’origine dell’incontro con Bartolomeo Garelli, all’origine della vocazione stessa di Don Bosco.
  2. Ogni scelta fatta da Don Bosco faceva parte di un progetto più grande: il progetto di Dio su di lui. Pertanto, nessuna scelta è stata superficiale o banale per Don Bosco. Il suo sogno non era un aneddoto della sua vita, o un semplice evento, ma una risposta vocazionale, una scelta, un percorso, un programma di vita che prendeva forma man mano che veniva vissuto. Sogno, quindi, che ogni salesiano, ogni membro della Famiglia di Don Bosco, senta, per vocazione e scelta, di essere a disagio e di sperimentare sulla propria pelle il dolore, la stanchezza e la fatica di tante famiglie e di tanti giovani che lottano ogni giorno per sopravvivere, o per vivere con un po’ più di dignità. E che nessuno di noi si riduca ad essere spettatore passivo o indifferente di fronte al dolore e all’angoscia di tanti giovani.
  3. «Il sogno primordiale, il sogno creatore di Dio nostro Padre, precede e accompagna la vita di tutti i suoi figli»38. Il nostro Dio ha un sogno per ciascuno di noi, per ciascuno dei nostri giovani, un progetto pensato, “disegnato” per noi da Dio stesso. Il segreto della tanto desiderata felicità di ciascuno sarà proprio quello di scoprire la corrispondenza e l’incontro tra questi due sogni: il nostro e quello di Dio. E allora capire qual è il sogno di Dio per ciascuno di noi significa, innanzitutto, rendersi conto che il Signore ci ha dato la vita perché ci ama, al di là di quello che siamo, compresi i nostri limiti. Dobbiamo credere, allora, che il nostro Dio vuole fare grandi cose in ciascuno di noi! Siamo tutti preziosi, abbiamo un grande valore, perché, senza ognuno di noi, mancherà qualcosa al mondo e alla Chiesa. Infatti, ci saranno persone che solo io potrò amare, parole che solo io potrò dire, momenti che solo io potrò condividere.
  4. E senza sogni non c’è vita. Per gli esseri umani, per tutti noi, sognare significa proiettarsi, avere un ideale, un senso nella vita. La peggiore povertà dei giovani è impedire loro di sognare, privarli dei propri sogni o imporre loro sogni inventati. Ognuno di noi è un sogno di Dio. È importante scoprire qual è il mio, quale sogno Dio ha per me. E dobbiamo cercare di svilupparlo, di realizzarlo, perché ne va della nostra felicità e di quella dei nostri fratelli e sorelle.

Ricordiamo come Don Bosco pianse di commozione e di gioia quando, quel 16 maggio 1887, “vide realizzato” il sogno che definiva la sua vita, la sua vocazione, la sua missione.

  1. Dio fa grandi cose con “strumenti semplici” e ci parla in molti modi, anche nel profondo del cuore, attraverso i sentimenti che si muovono dentro di noi, attraverso la Parola di Dio accolta con fede, approfondita con pazienza, interiorizzata con amore, seguita con fiducia. Aiutiamo noi stessi e i nostri ragazzi, le ragazze e giovani ad ascoltare il proprio cuore, a decifrare i movimenti interiori, a dare voce a ciò che si agita dentro di loro e in noi, a riconoscere quali segni o “sogni” rivelano la voce di Dio e quali, invece, sono l’esito di scelte sbagliate.
  2. «Le fatiche e fragilità dei giovani ci aiutano a essere migliori, le loro domande ci sfidano, i loro dubbi ci interpellano sulla qualità della nostra fede. Anche le loro critiche ci sono necessarie, perché non di rado attraverso di esse ascoltiamo la voce del Signore che ci chiede conversione del cuore e rinnovamento delle strutture»39. Un autentico educatore sa scoprire con intelligenza e pazienza ciò che ogni giovane porta dentro di sé, e come tale agirà con comprensione e affetto, cercando di farsi amare40. Sogno e desidero incontrare ogni giorno, in ogni casa salesiana del mondo salesiani e laici che credono nel miracolo che l’educazione e l’evangelizzazione salesiana hanno il potere di realizzare.
  3. Vivere umanamente è “diventare”, è realizzarsi, è godere degli esiti frutto di pazienti processi con cui Dio opera e interviene nella nostra vita. Quanto desidero che la nostra passione educativa assomigli a quella di Don Bosco, “padre dell’amorevolezza salesiana”, affinché in tutte le nostre presenze nel mondo, i ragazzi e le ragazze possano incontrare non solo professionisti formati, ma veri educatori, fratelli, amici, padri e madri.
  4. Don Bosco, “prete di strada” ante litteram, si è letteralmente consumato in questa impresa. I salesiani (e coloro che si ispirano a Don Bosco) sono sì “figli di un sognatore di futuro”, ma di un futuro che si costruisce nella fiducia in Dio e nel quotidiano immergersi e operare nella vita dei giovani, fra le fatiche e le incertezze di ogni giorno41. Ed è per questo che l’incontro con il Signore della Vita, aiutando ogni giovane a scoprire il proprio sogno, il sogno di Dio in ognuno, e sostenendolo nel suo cammino di realizzazione, è il dono più prezioso che possiamo offrire ai giovani. Quanto desidero che questo si realizzi in tutte le nostre case.
  5. Mentre il cuore di Don Bosco batteva in ogni momento, noi, «convinti che ciascun giovane porta inscritto nel cuore il desiderio di Dio, siamo chiamati ad offrire occasioni di incontro con Gesù, fonte di vita e di gioia per ogni giovane»42. Don Bosco non poteva tollerare che nelle sue case i suoi figli e le sue figlie non proponessero ai ragazzi, alle ragazze, agli adolescenti e ai giovani – pur nella libertà con cui oggi educhiamo alla fede nei contesti più diversi - l’incontro con Gesù. Anche oggi siamo chiamati a farlo conoscere, a scoprire come Egli affascina ogni persona e aiutando i giovani di altre religioni ad essere buoni credenti a partire dalla propria fede e ideali. Sogno che questo diventi realtà in tutte le case salesiane del mondo.
  6. «Dappertutto l’Opera Salesiana deve mirare ai giovani più poveri e bisognosi della Società, e deve usar con loro i mille mezzi che ispira la carità che previene. Don Bosco piangeva al vedere tanta gioventù crescere corrotta e miscredente; ed avrebbe voluto poter estendere le sue cure - vigilando, ammonendo, istruendo in una parola, prevenendo, - a tutti i giovani del mondo (…) Per questo nell’accettazione di nuove fondazioni dava la preferenza a quei luoghi dove la gioventù si guastava per l’abbandono»43. Sogno davvero di vedere un giorno l’intera

 Congregazione Salesiana con la stessa dedizione che Don Bosco ebbe verso i suoi ragazzi più poveri. Sogno di vedere ciascuno dei miei confratelli donare con gioia la propria vita a favore degli ultimi. In molti casi è già così. Sogno che ciascuna delle nostre case sia piena di quell’«odore di pecore» a cui Papa Francesco fa oggi riferimento per ogni chiamato ad una vocazione apostolica. E lo auguro anche a tutta la nostra Famiglia Salesiana: nessuno deve sentirsi escluso da questa chiamata.

  1. «La vita di Giovanni prima dell’ordinazione presbiterale è davvero un capolavoro di itinerario per la vocazione»44. Dice Papa Francesco parlando ai giovani della vocazione: «Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo. Di conseguenza, dobbiamo pensare che ogni pastorale è vocazionale, ogni formazione è vocazionale e ogni spiritualità è vocazionale»45. Come ha sempre fatto Don Bosco, considero un dovere per noi aiutare ogni giovane, in ogni nostra proposta, a scoprire ciò che Dio si aspetta da lui, ad avere ideali che lo facciano “volare alto”, a dare il meglio di sé, a desiderare di vivere la vita come consegna e donazione.
  2. Maria risplende per il suo essere madre e custode. Quando, giovanissima, ricevette l’annuncio dell’angelo, non si trattenne dal fare domande. Quando ha accettato e ha detto “sì”, ha puntato tutto, rischiando. Quando sua cugina ebbe bisogno di lei, mise da parte i suoi progetti e le sue necessità e partì, senza indugio. Quando il dolore di suo Figlio l’ha colpita, è stata la donna forte che lo ha sostenuto e accompagnato fino alla fine. Lei, che è Madre e Maestra, guarda il mondo dei giovani che la cercano, anche se lungo il cammino c’è tanto rumore e buio; parla nel silenzio e tiene accesa la luce della speranza46. Sogno davvero che nella fedeltà a Don Bosco faremo innamorare i nostri ragazzi, ragazze e giovani di quella Madre, non meno di lui, poiché «la Madonna è tutto per Don Bosco; e il Salesiano che vuole acquistare lo spirito del Fondatore deve imitarlo in questa devozione»47.

 

DAL SOGNO DI NOVE ANNI ALL’ALTARE DEL PIANTO

Sono giunto alla fine di questo commento. Potrei aggiungere altro, ma ritengo che quanto ho scritto possa raggiungere il cuore di ciascuno. Già questo sarebbe un’ottima notizia.

Voglio semplicemente invitarvi a un minuto di interiorizzazione e contemplazione davanti a questo testo delle Memorie Biografiche che descrive in poche righe ciò che Don Bosco ha provato, versando copiose lacrime, davanti all’altare di Maria Ausiliatrice nella Basilica del Sacro Cuore di Gesù pochi giorni dopo la sua consacrazione.

In quei momenti Don Bosco vide e sentì le voci di sua madre Margherita, i commenti dei fratelli e della nonna che valutavano il sogno, mettendolo addirittura in discussione. Proprio lì, in quel momento, sessantadue anni dopo, capì tutto, proprio come la Maestra aveva preannunciato.

Questa narrazione mi commuove ogni volta ed è per questa ragione che vi invito a rileggerla e a meditarla personalmente. Ancora una volta.

«Non meno di 15 volte durante il divin sacrificio — annotano le Memorie Biografiche — si arrestò preso da forte commozione e versando lacrime. Viglietti, che lo assisteva, dovette di quando in quando distrarlo, affinché potesse andare avanti.

(Avendogli domandato) quale fosse stata la causa di tanta emozione, rispose: — Avevo dinanzi agli occhi viva la scena di quando sui dieci anni sognai della Congregazione. Vedevo proprio e udivo la mamma e i fratelli questionare sul sogno...

Allora la Madonna gli aveva detto: “A suo tempo tutto comprenderai”. Trascorsi ormai da quel giorno sessantadue anni di fatiche, di sacrifici, di lotte, ecco che un lampo improvviso gli aveva rivelato nell’erezione della chiesa del S. Cuore a Roma il coronamento della missione adombratagli misteriosamente sull’esordire della vita»48.

Credo veramente che Maria Ausiliatrice continui ad essere anche oggi una vera Madre e Maestra per tutta la nostra Famiglia. Sono convinto che le parole profetiche del primo sogno pronunciate dal Signore Gesù e da Maria continuano ad essere realtà in tutti i luoghi dove il carisma del nostro Padre, dono dello Spirito, ha messo radici. E sono certo che in ogni casa, al di là delle nostre fatiche e dei nostri sforzi, si può applicare ciò che Don Bosco diceva del Santuario di Valdocco:

«Ogni mattone è una grazia di Maria Ausiliatrice; nulla abbiamo fatto senza il diretto intervento di Lei; Essa si è edificata la sua casa ed è una meraviglia agli occhi nostri».

Lei, Immacolata e Ausiliatrice, continui a guidarci tutti per mano. Amen.

Torino-Valdocco, 8 dicembre 2023

Don Ángel Card. Fernández Artime, S.D.B.

Rettor Maggiore

 

 

1 F. MOTTO, Il sogno dei nove anni. Redazione, storia, criteri di lettura, in «Note di pastorale giovanile» 5 (2020), 6.

2 P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. 1. Vita e opere, LAS, Roma 1979, 31s.

3 P. CHÁVEZ V., Conoscendo e imitando Don Bosco, facciamo dei giovani la missione della nostra vita, in ACG 412 (2012), 35-36.

4 F. MOTTO, o.c.,6.

5 G. BOSCO, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855, in ISTITUTO STORICO SALESIANO, Fonti salesiane 1. Don Bosco e la sua opera, LAS, Roma 2014, 1176.

6 Cfr. F. RINALDI, Lettera circolare pubblicata su ACS Anno V - N. 26 (24 Ottobre 1924), 312-317.

7 G. Bosco, Memorie dell’oratorio di san Francesco di Sales dal 1815 al 1855, in Istituto Storico Salesiano, (saggio introduttivo e note storiche a cura di A. da Silva Ferreira), "Fonti", serie prima, 4, marzo 1991. Cfr. A. Bozzolo, Il sogno dei nove anni, 3.1 Struttura narrativa e movimento onirico in A. Bozzolo (a cura di), I sogni di Don Bosco. Esperienza spirituale e sapienza educativa, LAS-Roma, 2017, p. 235.

8 R. ZIGGIOTTI (a cura di Marco Bay), Tenaci, audaci e amorevoli. Lettere circolari ai salesiani di don Renato Ziggiotti, LAS, Roma 2015, 575.

9 Il coadiutore salesiano Marco Bay è stato professore all'Università Pontificia Salesiana di Roma e attualmente è direttore dell'Archivio Centrale Salesiano di Roma (UPS). Egli ha generosamente messo nelle mie mani la ricerca che aveva svolto sui riferimenti che i precedenti Rettori Maggiori avevano fatto sul sogno dei nove anni.

Vorrei anche cogliere l'occasione per ringraziare don Luis Timossi, sdb, del Centro di Formazione Permanente di Quito, e don Silvio Roggia, sdb, direttore della comunità del Beato Ceferino Namuncurá di Roma, per le loro note e i loro suggerimenti.

10 P. ALBERA, Direzione Generale delle Opere Salesiane, Lettere Circolari di don Paolo Albera ai salesiani, Torino 1965, 123; 315; 339.

11 F. RINALDI, Lettera circolare pubblicata su ACS Anno V - N. 26 (24 Ottobre 1924), 312-317.

12 Ibidem.

13 La commemorazione di un “sogno”, in BS Anno XLIX, 6 (Giugno 1925), 147.

14 P. RICALDONE, Anno XVII. 24 Marzo 1936 N. 74.

15 P. RICALDONE, o.c., N. 78.

16 R. ZIGGIOTTI, o.c., 129.

17 R. ZIGGIOTTI, o.c., 264.

18 L. RICCERI, La parola del Rettor Maggiore. Conferenze, Omelie Buone notti, v. 9, Ispettoria Centrale Salesiana, Torino 1978, 27.

19 Ibid, 28.

20 E. VIGANÒ, Lettere circolari di don Egidio Viganò ai salesiani, vol. 1, Roma, Direzione Generale Opere Don Bosco, 1996, 10.

21 MB VII, 291. Citato in J. E. VECCHI, Educatori appassionati esperti e consacrati per i giovani. Lettere circolari ai Salesiani di don Juan E. Vecchi. Introduzione, parole chiave e indici a cura di Marco Bay, LAS, Roma 2013, 380.

22 P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol. II, p. 32. Citato in J. E. VECCHI, o.c., 381.

23 P. CHÁVEZ VILLANUEVA, Lettere circolari ai salesiani (2002-2014). Introduzione e indici a cura di Marco Bay. Presentazione di don Ángel Fernández Artime, Roma, LAS, 2021, p. 450.

24 F. MOTTO, o.c. 8.

25 Ibid, 10.

26 G. BOSCO, Memorie del Oratorio, citato in F. MOTTO, o.c., 9.

27 F. MOTTO, o.c., 10.

28 Citato in P. RICALDONE, Anno XVII. 24 Marzo 1936 N. 74.

29 G. BOSCO, o.c., 1177.

30 P. RICALDONE, Anno XX Novembre–Dicembre 1939 N. 96

31 A. BOZZOLO (ED), Il Sogno dei nove anni. Questioni ermeneutiche e lettura teologica, LAS, Roma 2017, 264.

32 E. VIGANÒ, Lettere circolari di don Egidio Viganò ai salesiani, vol. 1, Roma, Direzione Generale Opere Don Bosco, 1996, p. 10.

33 R. ZIGGIOTTI, o.c., 264.

34 F. MOTTO, o.c., 7.

35 Cfr. P. CHÁVEZ, «Conoscendo e imitando Don Bosco facciamo dei giovani la missione della nostra vita». Primo anno di preparazione al Bicentenario della sua nascita. Strenna 2012, in ACG 412 (2012), 3-39.

36 E. VIGANÒ, Lettere circolari di don Egidio Viganò ai salesiani, vol. 1, Roma, Direzione Generale Opere Don Bosco, 1996, p. 31.

37 SINODO DEI VESCOVI, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Documento finale. Elledici, Torino, 2018, nº128.

38 FRANCESCO, Christus vivit. Esortazione apostolica Postsinodale ai giovani e a tutto il Popolo di Dio, LEV, Città del Vaticano 2019, nº194.

39 SINODO DEI VESCOVI, I giovani…. o.c., nº116.

40 Cfr. XXIII Capitolo Generale Salesiano, Educare ai giovani nella fede, CCS, Madrid, 1990, nº 99.

41 Cfr. F. MOTTO, o.c. 14.

42 R. SALA, Il sogno dei nove anni. Redazione, storia, criteri di lettura, in «Note di pastorale giovanile» 5 (2020), 21.

43 F. RINALDI, Il sac. Filippo Rinaldi ai Cooperatori ed alle Cooperatrici Salesiane. Un’altra data memoranda, in BS Anno XLIX, 1 (Gennaio 1925), 6.

44 E. VIGANÒ, Lettere circolari di don Egidio Viganò ai salesiani, vol. 2, Roma, Direzione Generale Opere Don Bosco, 1996, p. 589.

45 FRANCESCO, Christus vivit, nº254.

46 Cfr. FRANCESCO, o.c., 43-48, 298.

47 R. ZIGGIOTTI, o.c., 264.

48 MB XVIII, 341.