Carissimi confratelli salesiani e laici impegnati nelle CEP e nelle Équipe di PG, entriamo nel mese di dicembre, nel tempo dell’Avvento. È un tempo che educa a rallentare, ad attendere, a mettersi in ascolto. Per noi salesiani questo mese ha sempre un sapore particolare, perché custodisce due date importanti della nostra storia: l’8 dicembre 1841, l’incontro tra don Bosco e Bartolomeo Garelli, inizio semplice e concreto dell’Oratorio; e il 18 dicembre 1859, la nascita della nostra Congregazione insieme ai primi giovani che scelsero di camminare con lui. Due fatti diversi ma profondamente uniti: Dio sceglie di operare nella storia attraverso la nostra umanità, attraverso la capacità di ascoltare, di comprendere, di educare, di creare legami.
Il Natale ci ricorda questo con una chiarezza che non lascia indifferenti: il Verbo si è fatto carne. Dio prende sul serio ciò che siamo, e tra i doni che ci rende propriamente umani ci sono la ragione e la coscienza. Non siamo creati per “viver come bruti”, ma per cercare la verità, per comprendere il mondo, per crescere interiormente. È per questo che, dopo aver riflettuto a novembre sulla spiritualità del gioco, in questo mese ci soffermiamo sulla spiritualità dello studio.
Partiamo da Don Bosco, perché la sua pedagogia spirituale continua a illuminare anche le nostre discussioni più attuali. In una frase che dovremmo ricordare spesso, diceva ai suoi giovani: “Io per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo, per voi sono disposto anche a dare la vita.” Per lui lo studio non era un’attività parallela alla missione: era parte della missione. Studiava per capire i giovani, per interpretare le loro domande, per offrire risposte intelligenti e non superficiali, per essere affidabile e credibile. Lo studio, in Don Bosco, è forma di amore, è gesto pastorale, è responsabilità educativa. E tutto questo lo ritroviamo nel cuore del Sistema Preventivo, fondato su Ragione, Religione e Amorevolezza. La Ragione, in particolare, dice che l’educatore accompagna i giovani non solo con l’affetto ma anche con la lucidità, la competenza, la capacità di leggere la vita con intelligenza: uno studio per conoscere, comprendere e quindi amare di più.
In questi mesi sto leggendo due testi che offrono intuizioni preziose: La luce e l’onda di Massimo Recalcati (Feltrinelli, 2025) e La scuola dell’anima di Josep Maria Esquirol (Vita e Pensiero, 2025). Recalcati usa un’immagine efficace: la luce del sapere ha bisogno dell’onda, cioè di uno stile e di una relazione. Non basta il contenuto: serve un adulto che trasmetta desiderio, perché senza desiderio non c’è apprendimento. L’educazione è sempre una trasmissione vivente, non un passaggio di informazioni. Anche nelle nostre opere i ragazzi crescono perché incontrano adulti che “vibrano”. Esquirol allarga lo sguardo e parla della scuola come “scuola dell’anima”. Scrive: “C’è casa perché ci sono le intemperie. E c’è scuola perché c’è il mondo.” La scuola è il luogo in cui il mondo si rivela e dove, grazie all’attenzione, la persona matura: “Quanta più attenzione prestiamo, più si manifestano le cose del mondo e più matura l’anima.” Per lui la scuola è il luogo della “non-indifferenza”, dove chiarezza e calore vanno insieme. “La quintessenza della vita umana è la chiarezza e il calore… la non indifferenza è coltivare l’attenzione, il modo, la bontà.” È sorprendente quanto questa visione sia vicina al nostro Sistema Preventivo, fatto di ragione, amorevolezza e cura autentica della relazione.
A queste due voci contemporanee possiamo affiancare due testimoni che hanno guardato allo studio come luogo di spiritualità: Simone Weil e don Giuseppe Quadrio. Weil, in un testo in cui riflette sul buon uso degli studi scolastici in vista dell’amore di Dio, scrive che come studenti siamo chiamati a: “imparare ad amare ogni materia di studio, perché tutte fanno crescere quell’attenzione che, orientata verso Dio, è la sostanza stessa della preghiera”. E aggiunge che un’ora passata su un problema difficile, anche senza averlo risolto, porta “più luce nell’anima”. Lo studio diventa così una via verso la verità interiore, un allenamento al silenzio, un esercizio di libertà dal narcisismo e dalla superficialità. Don Quadrio, con il suo stile schietto e paterno, offre una piccola “regola di vita salesiana dello studio”: ricominciare ogni giorno, pianificare con metodo, cercare Dio e non il successo, affidare a Gesù le difficoltà dicendo “Gesù, pensaci tu”, e vivere tutto con serenità e gioia. Anche per lui lo studio non è una fatica sterile, ma un cammino che unifica la persona e apre la porta all’incontro con Dio.
Sappiamo bene, però, che i nostri giovani vivono lo studio dentro un clima molto diverso. Tra prestazione, ansia, valutazioni, aspettative familiari e continue richieste, rischiano di percepirlo come un dovere senza senso. A volte lo temono, a volte lo evitano, a volte lo vivono come un luogo di solitudine. Il nostro compito è aiutarli a scoprire il “perché”: lo studio non come peso, ma come spazio di libertà; non come prestazione, ma come scoperta; non come obbligo, ma come esercizio di consapevolezza e di maturazione. Lo studio aiuta a conoscersi, ad ascoltarsi, a comprendere ciò che accade dentro e fuori di sé. Diventa un luogo dove si coltiva l’attenzione, dove si impara a leggere la vita, dove si sperimenta che la verità non schiaccia, ma libera.
Il Natale ci ricorda che Dio entra davvero nella nostra umanità, assume i nostri linguaggi e valorizza la nostra intelligenza. Il Verbo si è fatto carne significa che pensiero, ricerca della verità, cultura e studio sono vie attraverso cui Dio continua a parlarci. La tradizione cristiana lo ha sempre saputo: cercare la verità è già cercare Dio, e accompagnare un giovane a pensare è un atto spirituale. La cultura cristiana nasce dall’incontro tra fede e ragione, che si illuminano a vicenda.
Anche noi siamo chiamati a continuare questa storia, trasmettendo ai giovani una cultura dell’Incarnazione, dove lo studio diventa libertà, verità e carità. Nulla di umano è estraneo a Dio, nemmeno una pagina studiata con sincerità. In ogni gesto autentico di studio passa una luce più grande di noi. Il nostro compito è custodirla e offrirla come possibilità di crescita e di speranza. L’Avvento ci educa a riconoscerla e il Natale ci ricorda che Dio continua a venire nella nostra quotidianità, anche attraverso il nostro pensare e desiderare il bene.
don Emanuele Zof
DELEGATO PG - INE